Drammatico, Recensione

THE LAST OF US (2016)

Titolo OriginaleAkher Wahed Fina
NazioneTunisia/ Qatar/ Libano
Anno Produzione2016
Durata95'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

N arriva dal deserto per raggiungere il Nord Africa e compiere una traversata illegale verso l’Europa. Rimasto solo in Tunisia, decide di affrontare il mare in solitaria. Ruba così una barca e comincia il viaggio, ma presto l’imbarcazione affonda. Da quel momento, il viaggio di N si farà unico e speciale: scoprirà spazi diversi e infiniti, farà incontri intensi e fuggevoli, si confronterà con un’altra immagine di se stesso.

RECENSIONI

The Last of Us di Ala Eddine Slim è un film politico. Non in termini di facile denuncia, ma nel senso che Jacques Rancière diede al termine quando lo applicò al cinema di Pedro Costa. Cinema politico «perché - riprendendo l'analisi del filosofo francese - modifica nello stesso tempo la visibilità dei luoghi della povertà e la posizione della vittima», rifiutando quindi di conformarsi a qualsiasi possibile stereotipo di rappresentazione. E l'immagine si fa politica, continua Rancière, «quando un cineasta va con la sua macchina da presa a trovare ovunque della bellezza nel mondo, anche in un mondo che apparentemente dovrebbe essere visto come un mondo di miseria, di dissoluzione; in modo da costituire una figura eroica, tragica, enigmatica», proprio come fa Slim con N, il suo silenzioso protagonista, che da profugo in fuga verso l'Europa diventa una figura archetipica, lo spettro dello sconfitto dalla Storia. La sua esistenza è stata fatta a pezzi e ora, con più niente da perdere, attraversa, mai visto da nessuno, gli spazi. Senza nemmeno più una cittadinanza (la macchina da presa lo trova nel deserto dell'Africa centrale diretto verso le coste della Tunisia), N è il nomade privato della propria identità sociale, un infante agli occhi del mondo, intendendo con questo la condizione di chi è fuori dal linguaggio; proprio come un bambino, che ancora non ha imparato a parlare, il solo modo che ha di esprimersi è agire (spostarsi, mangiare, bere, sorridere). E proprio come un bambino è capace di uno sguardo stupito sulle cose, che riesce trovare la bellezza ovunque anche nelle situazioni disperate. Del resto, come scriveva Franco Scaldati che conosceva bene la dannazione delle anime in pena condannate all'oblio, «la bellezza è degli sconfitti. Il futuro non è dei vincitori, è di chi ha la capacità di vivere». N rimpara a farlo nella confusione di una vita rinata, come direbbe Pasolini, fuori dalla ragione, (quella sociale, civile); che riparte da dove tutto è cominciato, nel rapporto simbiotico dell'uomo con la natura. È da lì, ci dice The Last of Us, che bisogna ripartire, per non sentirsi soli, sganciati: ristabilire una connessione profonda, riscoprire quel senso di appartenenza, perduto, con il mondo. Deleuze non a caso diceva che il cinema è capace di filmare questo legame. E visto in questa maniera il film, e quindi il cinema di Slim sembra davvero essere una macchina della connessione.