TRAMA
Adria scappa di casa con il figlio Valerio in fuga da un marito violento. Trova rifugio a Torino da Carla, un’attrice di teatro ospitale e solare. Ricominciare a vivere non sarà facile.
RECENSIONI
Un piano sequenza iniziale tutt’altro che fluido porta il giovane protagonista a scoprire, in una scena palesemente fasulla, che la madre viene picchiata e umiliata dal padre. Non è però questo il tema del film di Ivano De Matteo, da sempre interessato alle dinamiche familiari più nelle conseguenze che nella deflagrazione, sia che si tratti di una separazione (Gli equilibristi) oppure di un omicidio (I nostri ragazzi). Questa volta si parte con una violenza domestica per poi centrare il racconto su quello che accade quando la madre trova il coraggio di scappare dal marito insieme al figlio tredicenne. I due trovano rifugio in quel di Torino da una vecchia amica e provano a costruirsi una nuova vita. Mettere in secondo piano le cause permette di evitare le possibili derive effettistiche e di concentrare l’attenzione sul nuovo quotidiano con cui madre e figlio sono obbligati a convivere. Le buone intenzioni, però, soccombono a un disequilibrio via via crescente nella sceneggiatura che forse vuole occuparsi di troppi aspetti e finisce per risultare poco organica. Sono soprattutto i personaggi l’aspetto dolente, perché privi di quel soffio vitale in grado di renderli pulsanti e credibili. Ognuno sembra portare il fardello di un’etichetta: la madre maltrattata, l’amica sdrammatizzante, il barista sottocasa probabile sostituto della figura paterna per il ragazzo e del marito per la mamma, l’amore adolescenziale in cui specchiarsi, il conoscente viscido. E poi c’è il protagonista, il ragazzino tredicenne su cui ricade il peso del film, vittima di una situazione che capisce solo in parte, diviso tra due amori inconciliabili, quello di entrambi i genitori, che la razionalità comprende ma che la pancia dimostra di rifiutare. È lui l’unico personaggio sfumato, ma i suoi sbalzi d’umore non sono resi e giustificati al meglio, avvengono o troppo repentinamente o in ritardo, a causa anche di un interprete sicuramente in parte (Andrea Pittorino assomiglia molto alla Buy), ma la cui dolcezza non è sempre in linea con la ruvidità degli stati d’animo da trasmettere. Non lo aiutano certo i dialoghi, finalizzati alla spiegazione.
Con tanta carne al fuoco (c’è anche un giustissimo attacco alle istituzioni) e caratteri così simbolici, le tappe della narrazione sono quasi passaggi obbligati: il trasferimento, l’iniziale difficoltà di ambientamento, la mamma che cerca lavoro, il ragazzino che fatica a inserirsi con gli amici del parco e i compagni di scuola, le piccole conquiste quotidiane, fino a un po’ di serenità duramente conquistata. In un approccio così minimalista stride non poco il rapporto con la prostituta dell’est, un po’ perché improbabile e davvero scontato, ma anche perché trattato con sobrietà ma concluso in caduta libera nel greve gratuito. Nel complesso, però, a mancare è soprattutto un collante narrativo che renda le sequenze scorrevoli e motivate. Cosa lega le due amiche che sembrano non avere nulla in comune? Il film non ce lo dice e si limita ad affiancare l’esagerata disponibilità dell’una con la mestizia dell’altra. Mai una domanda che cerchi di scavare un pochino, un’ombra, un momento di complicità, un silenzio. Con due attrici come Margherita Buy e Valeria Golino qualche sfumatura in più per giustificare la profondità di un’amicizia era d’obbligo. Ma è un po’ lo sviluppo di tutti i legami a essere posto come un dato di fatto e costruito su una progressione meccanica. Non si capisce, ad esempio, la diffidenza nei confronti del barista straniero, sempre gentile, generoso e disponibile. Così come non è chiaro cosa porti al superamento di tale diffidenza. Discorso analogo per il rapporto tra il protagonista e gli amichetti del parco, da 0 a 10 senza un perché. L’apice della sequenza dimostrativa è però nel tentativo di molestia dell’insistente pretendente della Buy, didascalica nel farsi veicolo del rafforzamento della complicità con il barista straniero. Protagonista trasversale la città di Torino, mostrata anche negli angoli meno turistici, in grado di donare all’azione quella verità che manca ai personaggi. Sarebbe bello, però, vedere film italiani non vincolati esclusivamente alla competitività delle Film Commission. Possibile che l’Italia al cinema sia solo Piemonte e Puglia?