PREVENGE

Titolo OriginalePrevenge
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2016
Durata92'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Una donna incinta cerca vendetta, in preda ad una furia omicida tanto feroce quanto spassosa. Cosa porterà la maternità alla spietata Ruth – rendenzione o distruzione?

RECENSIONI


Esercizio di ironica efferatezza, Prevenge (diretto dalla sua protagonista Alice Lowe, nota attrice televisiva, già coautrice dello script di Killer in viaggio di Ben Wheatley, in cui recitava) è un film cattivo, malsano, simbolico. Ruth è incinta, ha perso il compagno in circostanze tragiche ed è preda di una psicosi: non avendo più il controllo del suo corpo e della sua mente (il feto le parla e la istiga), la donna si abbandona a un indomabile istinto di vendetta. Il suo percorso è scandito dalle tappe omicide (e da altrettanti personaggi memorabili), sottintende un discorso di classe, forse adombra una critica (i bambini si impossessano della vita dei loro genitori), metaforizza una depressione, rimette in discussione i canoni del genere (ruoli sessuali in primis).
La regista inquadra ogni crudeltà (non manca la recisione di genitali, ma l’ultimo taglio è quello del parto cesareo) in una fredda cornice naturalistica, consegna le sue immagini a un tappeto di musica elettronica molto efficace e, nel rispetto di alcuni luoghi horror (la festa di Halloween), scarta l’immagine tenera della maternità (uno stato interessante, in tutti i sensi), rappresentandola piuttosto come un periodo in cui la donna, sottoposta a trasformazioni radicali, subisce un trauma, una trasformazione irrevocabile, pervenendo a un nuovo stato che, stante la pluralità di stimoli, può sconfinare in una follia di cui l’orrore omicida che vediamo potrebbe essere la traduzione visionaria. Come in American Psycho, infatti, non siamo certi - stante anche la disinvoltura con la quale la donna agisce (e senza alcuna cautela) - della portata realistica degli avvenimenti che potrebbero essere, esattamente come la voce del nascituro che comunica con Ruth, frutto della sua condizione psicologica.
Nessuna dolcezza, nessuna indulgenza: la protagonista, in un’ottica post-femminista, non ammicca, non cerca la simpatia dello spettatore: è odiosa, agisce senza mostrare pietà, è orgogliosamente illogica e autodistruttiva.  
Una dark comedy multistrato che chiama ancora una volta in causa l’horror come genere politico e campo privilegiato di riflessione sul rapporto tra vita e morte, un film il cui discorso non è mai parodico, ma sempre focalizzato (pur declinato in termini ultraviolenti e satirici) sull’angoscia di un’epoca, la nostra, dominata da disgregazione sociale ed economica («Porto in grembo la rabbia»).