TRAMA
Marie lavora presso lo Justervesenet, l’ufficio norvegese dei pesi e delle misure, insieme al padre Ernst. L’infarto del genitore determina la necessità che la donna lo sostituisca in un’importante missione: recarsi a Parigi con il prezioso campione del chilogrammo norvegese per rappresentare il suo paese al seminario sull’esatta determinazione del peso.
RECENSIONI
L'esistenza di Marie è precisa, abituale, senza scossoni: i punti di riferimento quotidiani sono altrettante rassicurazioni. Il malore del padre, la necessità di sostituirlo nella missione in cui porterà a Parigi il campione del chilogrammo norvegese, sconvolge il suo artefatto equilibrio, rivoluziona il suo universo sterilizzato e privo di emozioni, ne fa crepare quell'irreprensibilità nella quale la donna si è avvolta come in un bozzolo. La conoscenza di Pi, al convegno, sembra la premessa a un cambiamento, ma la donna non sembra avere la forza di perseguirlo. Solo un incidente la ricondurrà in Francia a cogliere quell'occasione di felicità che il primo incontro le aveva porto e che non aveva saputo assecondare. L'uomo è una sorta di versione avanzata di Marie: proviene da un modus vivendi simile (rigido, impostato) ma - lo dichiara - ha scelto la flessibilità: le due solitudini finiscono con il combaciare.
1001 grammi, che risale al 2014, è una di quelle commedie sommesse alle quali Bent Hamer, il regista di Kitchen Stories e Il mondo di Horten, ci ha abituati: un cinema che ha spesso dimostrato grazia e ispirazione, che strizza l'occhio a Tati, che si muove in equilibrio tra il paradossale e il poetico, puntando sì all'umorismo, ma privilegiandone i toni più smorzati. Il registro visivo - al solito pregevole nell'utilizzo degli spazi e delle figure, nella scelta certosina dei cromatismi - gioca con le geometrie in diretta aderenza al discorso narrativo (la vita ordinata della protagonista), predilige prospettive sottilmente ridicole (la scena del mappamondo) o quadri composti secondo logiche palesemente surreali (la sfilata dei delegati con l'ombrello aperto). Peccato che stavolta il regista non vada oltre lo sterile, glaciale esercizio: l'idea di fondo (il confronto tra la coerenza della scienza e l'imprevedibilità della vita) stenta a svilupparsi in un racconto convincente, annaspando nelle secche di una riflessione simbolica (i pesi, le misure non si applicano alle emozioni), di una metafora tanto ovvia quanto sottolineata.
