- Teresa Palmer
- Gabriel Bateman
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TRAMA
Un essere misterioso compare nel buio e terrorizza il piccolo Martin. La sorella Rebecca cerca di aiutarlo.
RECENSIONI
Lomonimo corto del 2013 era una buona idea complessivamente ben realizzata in tre minuti scarsi. Un ritorno alle radici della paura, quella atavica del buio e i suoi corollari infantili (le coperte come barriera invalicabile). A ben vedere, qualcosa che non andava cera già: la reazione della ragazza alla prima apparizione della creatura è fin troppo blanda, la sua decisione di andare comunque a dormire ingiustificata e il finale contraddiceva la piccola mitologia suggerita (il mostro compare in piena luce). Lights Out conferma la bontà dellidea di base e cerca di dare maggiore coerenza ai presupposti, fino a fornire consistenza tematica e narrativa alla paura del buio (noi lo temiamo da sempre, anche al cinema, e Diana vi si annida per motivi di salute).
Uno dei problemi del lungometraggio è però il suo tentativo di reggersi, per 80 minuti, su un presupposto sì potente, nella sua semplicità, ma non autosufficiente. L’effetto buio-luce / comparsa-scomparsa è declinato in tutte le sue possibili forme e il resto è un profluvio di cliché che si può decidere di accettare o meno, a seconda della (pre)disposizione d’animo. Si tratta di cliché che riguardano la caratterizzazione dei personaggi (il fidanzato di Rebecca sembra la rockstar di uno spot Algida), gli snodi narrativi (il passato che riaffiora in forma di fotografie e registrazioni audio), gli espedienti registici (apparizioni improvvise, dialettica campo/fuoricampo, sparate audio) fino ai dettagli semicomici (l’assistente sociale ritiene Rebecca inadeguata a fare da tutore per il fratello per via dei poster degli Slayer e degli Avenged Sevenfold). Dopo un po’, insomma, si ha la sensazione che Sandberg la stia davvero tirando per le lunghe, raschiando il fondo del proverbiale barile. Ma nondimeno ci si stupisce del fatto che il film mantenga, bene o male, la sua capacità di spaventare con quasi niente, ossia la sola Boogeygirl che si nasconde nell’oscurità.
Lights Out è insomma un film di Paura che fa paura, capace di persistere nella memoria dello spettatore che, rientrato a casa, potrebbe guardare con sorvegliato timore in fondo al corridoio poco illuminato e magari accendere/spengere l’interruttore della luce per vedere l’effetto che fa. Non c’è davvero altro, salvo sovrainterpretare e dare troppa importanza a Diana come metafora del Male Oscuro e ripetere i soliti, ritriti discorsi metahorrorifici. Ci si può accontentare? Di nuovo, dipende. Horror basico per appetiti basici. Produce il guru del new/old/horror James Wan, e non è difficile intuire perché.
