TRAMA
Mentre le feste si avvicinano, Daniel e Theo non hanno alcun desiderio di trascorrere due mesi con le loro famiglie. Utilizzando una motofalciatrice e assi di legno, decidono di costruire la loro ‘auto’ e avventurarsi per le strade francesi…
RECENSIONI
Amarcord di Michel Gondry, certo, ma, per l'appunto, suo, fatto cioè alla sua maniera e alle sue condizioni. E allora (primo ribaltamento) l'immersione nell'adolescenza è operata secondo uno spiazzante deragliamento dei tempi: quella messa in scena non è un'era passata, non siamo negli anni Settanta che videro il regista ragazzino, quelli del film sono i giorni nostri, di un presente che, però, non solo viene rifiutato dai protagonisti (l'IPhone che cade nella merda, mica a caso, e viene seppellito), ma che è rappresentato come se appartenesse a un'epoca trascorsa (un occhio agli interni della casa di Daniel, a ciò che contiene la sua cameretta, al modo in cui i ragazzi comunicano - con lettere -). In questa cronologia mitica e anti-app i due adolescenti (l'ansioso disegnatore, martoriato dai dubbi e ferito d'amore, e l'inventore filosofo, pieno di trovate, ragionevole e sdrammatizzante), sono i lati della medaglia Gondry (l'artista e il nerd, il segno e il bric-à-brac), due personalità complementari che si influenzano a vicenda, egualmente sognatrici (il viaggio su un'auto che assemblano da soli: un'utopia costruita con le proprie mani). Perché, in fondo, per Michel Gondry è sempre questione di sogni: crederci, viverli, perseguirli contro tutto e tutti, farne arte (Microbe) e scienza (Gasoil). Film regressivo, certo, Microbe et Gasoil viene dopo la rinuncia all'adattamento di Ubik di Philip K. Dick e l'ubriacatura del sentito, sofferto, magnifico/fallimentare Mood Indigo, apoteosi cinematografica di quell'estro gondryano che in quest'ultima opera (secondo ribaltamento) non si esprime sul piano prettamente filmico: le invenzioni di Gondry, infatti non sono applicate al film, ma sono del e nel film poiché appartengono ai suoi personaggi. Dunque non c'è artificio nella messa in scena, ma lo si ritrova, come sostanza dei caratteri, nelle azioni e nei dialoghi: con una messa in abisso, l'ennesima (geniale perché dissimulata), l'immaginazione del regista, incarnandosi nei protagonisti e parlando attraverso loro, attiene solo alla narrazione, la tematizza e non la trascende.
Avventura iniziatica, certo, ma anche nuovo manifesto moralista declinato sul consueto registro autobiografico (ci troviamo nella natia Versailles, ovviamente), Microbe et Gasoil è, nel suo sintetizzare un sentire, la ricognizione delle radici di una poetica e l'alba di un mondo creativo, dunque un inno delle origini contro la massificazione e l'esclusione del diverso (gli zingari, per estensione: la casa ambulante che viene distrutta è un dramma simbolico sul pregiudizio sociale); contro lo schematismo di una società che rifiuta di nutrirsi della fantasia (le invenzioni 'inutili') e che ne è disorientata; contro la scuola che annichilisce le personalità, le umilia, le irride e in cui gli studenti per primi sono conformisti, cloni indistinguibili di mamma&papà («Vous n'êtes que les reproductions asexuées de vos parents»); contro il modello familiare - un nucleo distante, l'altro soffocante (una madre depressa, asfissiante) - che appare come centro normativo comunque deleterio. Un invito a resistere alle convenzioni (Daniel scambiato per una ragazza solo per i suoi capelli lunghi), a snobbare il sistema tecnologico attuale (si elevano osanna alla low technology, al dogma dell'«usa quello che hai» consacrato in Be Kind Rewind, il link più diretto), a schivare l'omologazione culturale (un poster di Shakira rende la casa in cui si è ospiti un posto da cui fuggire) e l'ostentazione vacua dell'industria dell'apparire (quindi i due non si recheranno certo in Costa Azzurra: «C'est pour les tapettes du show-biz»). Romanzo di formazione, certo, ma soprattutto percorso che, se è di crescita, più che al passaggio della linea d'ombra, si riferisce a una coscienza che matura e che si possa dire propria, a un'esistenza che sia davvero libera, a un'etica che non teme il giudizio altrui («Les mecs bourrés ça me dégoûte. L'alcool c'est la mort de la dignité»), a uno spirito contestatario che si traduce in pratica, non in slogan, e che paga un prezzo (alla fine Gasoil viene trasferito a Grenoble e Microbe deve accettare di tornare a scuola dove, per prima cosa, vendicherà l'amico).
Un film intimo, certo, fatto di materiale di recupero (cos'altro sono i ricordi?), ma anche delicato ribadire temi e motivi dell’opera del francese: l’amore come esperienza dolorosa (Laura è la matrice di tutte le delusioni sentimentali che hanno costellato il percorso artistico di Gondry - non solo quello cinematografico -), la routine quotidiana come incubo primario da cui scappare (la sveglia iniziale la simboleggia in pieno: a seguire i due genitori che lasciano la casa per andare al lavoro), l’inquietudine che sempre scorre sotto pelle. Ancora una volta l’autore prescinde da strategie, aspettative, logiche di marketing che potrebbero legarsi alla sua griffe: il suo è un cinema che continua ad andare dove vuole, che può incrociare la major come porsi ai margini di un mercato abituato a calcolare tutto. Come Microbe, come Gasoil, Michel Gondry, avendo voglia di viaggiare, lo fa con quello che ha a disposizione (una piccola troupe: c’è odore di nouvelle vague), risolvendo i problemi come ha sempre fatto: a forza di talento (è col suo disegno che Daniel supera gli ostacoli di una situazione…). Un film troppo tenero e personale, troppo poco etichettabile per essere selezionato da un Festival (e dunque scartato da tutti quelli maggiori) con un finale truffautiano di bellezza commovente, a suo modo (quello di Gondry) disperato.
Un piccolo film, certo, come no.
→ Monografia Tascabile: MICHEL GONDRY