Drammatico, Sala

LE CONFESSIONI

TRAMA

Albergo tedesco: qui i ministri economici delle grandi potenze si ritrovano lontano da tutto e tutti per il G8. Tra gli ospiti, anche un misterioso monaco italiano. La sua figura minerà equilibri e certezze.

RECENSIONI

L'idea, racconta il regista, è nata passeggiando tra i boulevards parigini in compagnia di Toni Servillo, già da lui diretto nel notevole Viva la libertà, cercando di portare avanti, e in altre forme e storie, parte di quel discorso. «Mi sembrava importante che in questo albergo terminale, una sorta di capolinea della Storia europea, i padroni del mondo si confrontassero con un uomo che non solo non possiede nulla, ma che addirittura pensa di non disporre neppure della propria vita».
Roberto Andò fissa in questo contrasto, in tale impatto asimmetrico, il nucleo e lo svolgimento de Le confessioni. Mette il potere in un hotel di lusso in Germania, protetto da occhi indiscreti, riunitosi per decretare ancora una volta le sorti del pianeta. Ma ci sono anche un cantante rock (Johan Heldenbergh), una famosa scrittrice di storie per bambini (Connie Nielsen) e, soprattutto, un monaco Certosino, Roberto Salus (Servillo), precedente vita da matematico, col suo inseparabile registratore a captare il canto degli uccelli. Il giallo è alle porte, anzi, nella camera del direttore del Fondo Monetario Internazionale (Daniel Auteuil). La sua morte misteriosa è il punto di partenza perfetto: ministri in crisi, e Salus come bersaglio, temuto perché forse sa, forse ha saputo da quell'uomo, che a lui si era rivolto per confessarsi prima di morire, ciò che a breve potrebbe succedere; perché - la verità più profonda -  Salus è diverso, estraneo, alieno al potere (sottolineatura per lo spettatore più disattento, ovviamente). C'è chi vorrebbe ancora approvare la manovra durissima nei confronti dei paesi più poveri (come il ministro della Germania interpretato da Richard Sammel)  e chi vorrebbe, invece, tirarsi indietro (Pierfrancesco Favino per l'Italia e Marie-Josée Croze del governo canadese). Arriveranno poi a una decisione.
Dentro questa dicotomia tra il mondo dell'asceta e un potere banale, mediocre, vince Andò, perché l'enunciato del regista qui può compiersi pienamente; le sue metafore, i silenzi, la messa in scena dicono tutto ciò che serve.  Come? Ovattando tutto il film, cristalizzandolo proprio come la presenza di un monaco che coltiva il dubbio, il silenzio, richiede: una rarefazione che in realtà è solo negazione di uno spazio per lo spettatore, narrazione schiacciata e schiacciante, un Todo modo pastorizzato, inoffensivo,  nel tratto estetico, 'ambientale' e umano che riporta al Sorrentino versione Youth. Un cane tedesco che gira sinistramente intorno a un tavolo; piscine per immergersi nella propria coscienza; anziano proprietario d'albergo che non ricorda più i suoi codici bancari per la disperazione dei suoi eredi, ma sa sorridere all'alterità del monaco.
Le confessioni sono corpi che non hanno niente che sia davvero politico, non c'è segno, impronta del mondo, ma la sua verosimile riproduzione portata didascalicamente, forzatamente in astratto; corpi come coreografia  che non tocca né l'ottuso né il grottesco, come scenografia di un teatro che non può essere né crudele né dell'assurdo, ma soltanto 'giusto', efficace, adatto, funzionale. C'è l'autore prima di tutto, sopra tutto. E la sua sospensione del tempo allestita su misura, ad personam: perché, alla fine, Le confessioni sono l'ennesima dimostrazione della grande arte, della grandebellezza recitativa di Toni Servillo. Piallata ogni traccia reale di thriller metafisico, morale, e rinchiusa la complessità delle cose del mondo nel simbolo facile, resta, a compimento, una scena finale che appare involontaria caricatura della malinconia sovversiva del Comico.