Drammatico, Recensione

THE IDOL

Titolo OriginaleYa Tayr El Tayer
NazionePalestina/ Qatar/ Gran Bretagna
Anno Produzione2015
Durata100'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Gaza. Ahmad e Omar, fanno musica, giocano a calcio e sognano in grande. La loro band è alla buona, utilizzano vecchi strumenti musicali, ma hanno grandi ambizioni.

RECENSIONI

The Idol, ultima fatica del regista palestinese Hany Abu-Assad, doppio candidato all’Oscar per i precedenti Paradise Now e Omar, è una bella occasione largamente sprecata.
I motivi di interesse dell’opera, a priori, sono più di uno. Il primo, significativo, è la prospettiva ideologica dalla quale la narrazione emerge e si orienta. Si pensi, ad esempio, ad un film quale il recente Rock the Kasbah che presenta evidenti affinità narrative con The Idol: la scoperta miracolosa di un raro talento canoro incarnato in una giovane di origini afghane. In quel caso, nelle mani di un regista bianco, americano, cristiano, uomo, ecc., la narrazione si sviluppa in direzione spiccatamente neocoloniale, laddove il personaggio interpretato da Bill Murray – altrettanto bianco americano cristiano uomo ecc. – si presenta quale veicolo necessario, conditio sine qua non, per la scoperta e valorizzazione del talento della ragazza –afghana musulmana donna ecc. The Idol invece, attraverso la penna e lo sguardo di un regista palestinese, cerca di offrire (almeno negli intenti) una narrazione interna che rifugge prospettive di imposizione culturale dall’alto al basso, in una logica di autodeterminazione anche politica in cui è il protagonista e solo il protagonista – palestinese musulmano ecc. – a decretare la propria vittoria. L’altro motivo d’interesse, evidentemente, è il soggetto in sé, la vera storia di Mohammad Assaf (qui in parte romanzata): dalla dura infanzia fra le macerie di Gaza, all’avventurosa fuga in Egitto, ai provini per partecipare ad Arab Idol e il suo percorso all’interno del talent show, fino alla vittoria che lo porterà a diventare uno dei maggiori idoli pop del mondo arabo e ambasciatore mondiale della causa palestinese.

Stupisce, in negativo, come il regista vanifichi gran parte delle potenzialità del progetto, come se rinunciasse da subito a gestire i numerosi spunti d’approfondimento che la storia propone. Complice un montaggio assassino che taglia con l’accetta scene ed emozioni senza lasciare alcun respiro alle vicende, Hany Abu-Assad si limita a presentare l’immagine senza mai indagarla né costruirla cinematograficamente. A farne le spese è, fatalmente, l’emozione, che stenta a decollare in una narrazione sempre più stanca di raccontare se stessa man mano che il film procede. Incalcolabili le occasioni sprecate: la descrizione della vita a Gaza; le dinamiche che portano alla radicalizzazione religiosa di un amico del protagonista; il rapporto sentimentale fra Mohammad e una ragazza malata come la sorella scomparsa; il percorso all’interno del programma Arab Idol, presentato sciattamente come la conquista di un successo da subito annunciato (mentre nelle sceneggiatura originale veniva instillato un interessante dubbio: il team del programma ammette di aver selezionato Mohammad non tanto per le sue doti vocali, quanto per la sua nazionalità palestinese, ritenuta mediaticamente marketizzabile). L’idea iniziale del film prevedeva il vero Mohammad Assaf nei panni di se stesso, una mossa che avrebbe aperto margini non disprezzabili di riflessione sul confine fra storia reale e storia romanzata, io privato e persona pubblica. La cosa non è andata in porto (pare che il giovane Assaf non si sentisse a suo agio come attore davanti alla camera da presa), ma il regista non rinuncia del tutto alla dimensione metacinematografica inserendo nel finale il vero Assaf a prendere finalmente il posto dell’attore. Immagini di repertorio d’ordinanza, cartello informativo finale, saluti, baci e ciao. Peccato.