TRAMA
Anni 70. Roland e Vanessa, una coppia americana in crisi, arriva in una località balneare francese. Durante il loro soggiorno i nodi del loro rapporto verranno al pettine.
RECENSIONI
Coniugi americani in crisi, in viaggio come novelli Paul e Jane Bowles - lui scrittore affermato in cerca di ispirazione, lei ex ballerina tormentata, che si arrovella in pensieri che non riusciamo a decifrare -, trasportano in una deliziosa baia della costa francese il loro standby sentimentale. L’impasse di Roland e Vanessa sottintende un problema, un rimosso: c'è un pesante non detto in quella frattura che separa i due, richiamato da frequenti lampi visionari che interrompono, significativi, il flusso della narrazione. Intanto succedono cose: nel bar-ritrovo del paese - luogo in cui si dovrebbero sbrogliare alcuni nodi tematici - lo scrittore si confronta col gestore che parla, mica casualmente, della sua esperienza di un amore perfetto; ancora: Roland, in vena di arricchimenti simbolici del racconto della sua esperienza di vita, lancia con disinvoltura grandi metafore (ha sposato Vanessa in inverno); leit motiv: gli occhiali da sole di lei vengono sempre spostati con un gesto deciso in un punto preciso del tavolo, comodino o altra superficie d'appoggio capiti a tiro (un'idea di ordine o di equilibrio che non si riesce a non rispettare o che si intende ripristinare? Who knows?).
Marito e moglie si tengono a rigorosa distanza, si chiamano, sì, "tesoro", ma non si baciano mai. Di amplessi neanche l'ombra, ça va sans dire, solo condivisione di uno spazio (la stanza d'albergo, alla quale i due ritornano dopo i rispettivi vagabondaggi) e muto gioco al massacro. La conoscenza della coppia in luna di miele, che risiede nella camera accanto, permette il gioco delle identificazioni, perché Lea e François sono il doppio, l'inizio idilliaco, la gioventù e l'entusiasmo, l'amore e il sesso: lo spiarli attraverso il buco della parete non è voyeurismo, è uno sguardo a ciò che si è stati, a ciò che si potrebbe tornare a essere, specchio sul passato e possibile riflesso sul futuro (e, se si amano le mise en abyme a tutti i costi, sulla stessa coppia Brangelina - la Jolie ne sarebbe compiaciuta -). Gli sposini vengono di fatto manipolati: Vanessa, in uno svelamento assai poco elegante del narrativo sottinteso (sottinteso, si fa per dire), prima veste François come il marito e poi cerca di silurare la giovane coppia facendosi sedurre dal bel francese. L'obiettivo? Vendicarsi gratuitamente, riscattare la sua infelice condizione di donna sterile (eccolo svelato quel mistero che, brillando fin dall'inizio, mistero non era e che, anche urlato, non fa una rivelazione e, palesato in questa sede, nemmeno uno spoiler). Alla fine del soggiorno, al netto di silenzi, scopate bramate e concluse e tanta buona cucina, tra riconciliazioni e rese dei conti, Roland avrà scritto il suo romanzo, By the sea: sì, proprio come il film, ché ciò che abbiamo visto, è (nuova vertigine) la sua storia (forse mai avvenuta? E, comunque, who cares?).
Angelina Jolie guarda al cinema europeo, lo studia e dirige un'opera che è l’asettico distillato di quello che sembra averne compreso: ne esce un prodotto interessante per come riesce a tradurre semplicisticamente l’idea che del film d’autore si è fatto qualcuno che si è fermato al suo involucro (i tempi dilatati, la ricerca continua di assonanze, l’uso enfatico delle panoramiche, la tensione sottintesa), assimilandone solo le formule esteriori; sorprendente per come svuota di senso i riferimenti alti, lasciandone in piedi la nuda, vacua maniera, applicandola a un dramma sintetico, affidato a psicologismi d’appendice e a soluzioni figurative smaccatamente ricercate (finestre e specchi riflettono a dovere ed estendono il quadro). Un lavoro che, nel reticolo suddetto, rimane americamente castigato, anche quando crede di sfondare qualche barriera (i nudi educatissimi). Insomma, Angelina Jolie che fa Antonioni in By The Sea è un po’ come Lory Del Santo che fa Lynch in The Lady, non fosse che Lory Del Santo è fortemente consapevole nel suo voler apparire spaesata e ha sempre messo nel sacco tutti (la si ami per questo, non per il motivo sbagliato - l’involontarietà che non c’è mai stata -), mentre l'impegno di Jolie è puro e il suo un cinema naïf, addirittura impudico nella sua presunzione, che ha di bello (e confesso, sottilmente rapente) la sua non calcolata, e perciò dissennatamente sfrontata, bruttezza.