TRAMA
Parris Island, South Carolina, campo d’addestramento dei marines: la recluta “palla di lardo” sta per crollare sotto le continue angherie del sergente Hartman. Destinazione delle reclute: Hue, Vietnam.
RECENSIONI
Questa volta Kubrick non arriva per primo, nel genere bellico e nel suo sottofilone vietnamita, a rivoluzionare i codici tematici e stilistici. Ci sono stati Apocalypse Now (da cui prende a prestito R. Lee Ermey e lo sceneggiatore Michael Herr) e Il Cacciatore, mentre Ufficiale e Gentiluomo aveva già fatto epoca sull’argomento “addestramento militare” e Oliver Stone, l’anno prima, con il suo Platoon aveva riportato l’attenzione sulla prima linea in Vietnam (non sul “post”, fatto di reduci o folli). Ma, tenendo conto anche della lunga gestazione delle sue opere (“Nato per uccidere”, dell’ex-marine Gustav Hasford qui interpretato da Matthew Modine, lo lesse nel 1982), “come lui non lo fa nessuno”: divide l’opera proprio in due parti che rispecchiano le opere citate (e il dimenticato I Ragazzi della Compagnia “C”), la prima incentrata sulle strutture militari come Orizzonti di Gloria e Il Dottor Stranamore e giocata magistralmente sul climax con finale scioccante (replicando Nessun Amore è più Grande di Masaki Kobayashi), con il “Palla di Lardo” di un Vincent D’Onofrio ingrassato, per l’occasione, di trenta chili; la seconda votata a denudare l’assurdità della guerra, con pessimismo e senza ancoraggi di comodo (non ci sono eroi, personaggi prettamente positivi, speranze di sorta), cosa che i suoi predecessori non avevano mai fatto. Ricostruendo il Vietnam alle periferie di Londra (e si vede, anche se il regista ha rinvenuto, a Beckton, le stesse architetture di Hue), pare anche rincorrere una sorta di messinscena brechtiana per portare lo spettatore a riflettere unicamente sulle dinamiche assurde, non distratto dal “realismo”. Il fil rouge fra i due atti è l’immanenza della Morte, il senso di claustrofobia che divora l’anima di esseri umani presi in una macchina che li costringe prima a pensare, poi a morire come vuole lei. Se qualche spettatore, alla fine, a forza di cercarla, trovasse una scena cui poter affidare il suo bisogno di punti (morali) di riferimento, arriva spietata e beffarda la canzone di Topolino ad annichilire ogni umanità. R. Lee Ermey, che interpreta il sergente di ferro Hartman, era un vero istruttore dei marines e Kubrick ha inglobato nella sceneggiatura quasi tutte le sue improvvisazioni: la differenza fondamentale con il Louis Gossett jr. del film di Hackford, è che non cerca mai le simpatie del pubblico. Il “full metal jacket” indica la pallottola inserita in un involucro di rame che le permette di scorrere meglio nel fucile. Commento sonoro sintetico della figlia Vivian, con presenza massiccia di canzoni pop(olari).