TRAMA
1992-2013: ascesa e declino del giovane Paul, dj di musica garage nella Parigi dei Novanta.
RECENSIONI
Il quarto lungometraggio di Mia Hansen-Løve, scritto a quattro mani dalla regista insieme al fratello Sven, la cui vicenda autobiografica ha ispirato il film, è un racconto intimista della parabola della giovinezza, ancorata a quella professionale e personale del protagonista Paul, che come il sogno di un ragazzo è racchiusa tra una visione che folgora (l'apparizione lisergica di un uccello infuocato, il cui cinguettio rinvia al brano di musica garage che introduce Paul a un nuovo giorno, al cammino che dà inizio all'avventura) e lo sguardo mestamente abbandonato sul ricordo di essa. In mezzo, i segmenti di vissuto di Paul che, dissolvendosi, diradano - serata dopo serata, relazione dopo relazione - la sostanza di una routine notturna e dispendiosa, dalla quale emerge soprattutto la dipendenza (dalla cocaina, da un ideale di sé, dallo stesso genere Garage come etichetta dell'incapacità di Paul di adattarsi alla scena che evolve intorno a lui) quale unico motore dell'esistenza. Regista da sempre attenta alla rappresentazione dei moti propri della giovinezza e delle contingenze che li intersecano, nell'accompagnare Paul e i suoi amici, nel posizionarsi accanto alla collettività accesa dalla French house, la mdp di Hansen-Løve, che con il riguardo tipico del suo cinema osserva gli slanci e le ritirate dei singoli, coglie nella luce stroboscopica che priva e accende l'andatura di una generazione perennemente accentrata su se stessa, lo sguardo di chi avvista il proprio avvenire dal centro effimero di un dance floor. Così, se all'inizio della sua carriera Paul convergeva verso una meta (guadagnarsi da vivere facendo il dj, diventare ricco, essere felice) concretizzata dalla visione degli amici Homem-Christo e Bangalter diventati i Daft Punk dopo il lancio di Da Funk dall'angolo di un salotto, nell'epilogo che lo ritrova solo ai margini di una pista ormai vuota, di un campo svuotato di musica volti opportunità, mentre una melodia malinconica sembra aprirsi al commento della fine di un'epoca e una nuova precarietà depenna i labili residui di un disegno giovanile [il gesto con cui Paul cancella il suo ritratto dalla lavagna magnetica per fare spazio alla lista della spesa è il riflesso europeo di quello di Frances Ha - e Greta Gerwig interpreta in Eden la ragazza americana di Paul - che, nel finale del film di Baumbach (2012), ripiega una parte di sé per (s)correre dentro lo spazio squadrato della sua nuova vita], ora disteso sul proprio letto, Paul resta in ascolto dei fantasmi del presente sovrimpressi sul suo corpo riemerso, in attesa che un frammento di sé continui a danzare sui titoli di coda della giovinezza.
