Drammatico

LA LEGGE DEL MERCATO

Titolo OriginaleLa loi du marché
NazioneFrancia
Anno Produzione2015
Durata93'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

All’età di 51 anni e dopo 20 mesi di disoccupazione, Thierry trova un nuovo impiego che lo porterà presto a confrontarsi con un profondo dilemma morale. Ma cosa è disposto a sacrificare per non perdere il proprio lavoro?

RECENSIONI

Ritrovarsi senza lavoro a cinquant’anni, dopo lustri di onorata attività, perché favorita dalle logiche della globalizzazione e sotto la pressione di una crisi economica galoppante, l’azienda ha deciso di delocalizzare. Per Thierry, novello disoccupato, questo significa chiedere un prestito in banca e vendere la roulotte delle vacanze per racimolare liquidità, ricontrattare il mutuo sulla casa, ripensare l’assicurazione sulla vita. E poi l’umiliazione, il senso di inadeguatezza. Il circo del welfare in corsi di formazione per disoccupati in cui le ore passano spiegando l’importanza del linguaggio del corpo, quando poi i colloqui per possibili lavori sottopagati e vagamente degradanti vengono condotti via Skype. Thierry che si gioca il futuro parlando allo schermo di un pc – e perde – è il momento più straziante, l’immagine simbolo de La legge del mercato.
La forza del film di Stéphane Brizé, ancora prima che nel suo atto d’accusa al capitalismo liberista, sta nella descrizione dettagliata di una condizione tristemente comune in tempi di crisi economica, a cui molti hanno assistito direttamente o indirettamente. Non la lotta dei giovani per l’entrata in un mercato del lavoro che è già marcia chimera, ma il colpo sordo, la rincorsa zoppa e penosa di chi non ha più l’età per reinventarsi né le conoscenze o le competenze per farlo. Il corpo teso, il viso roccioso di un grande Vincent Lindon, il suo sguardo perduto e assieme devastante di inerme tenerezza esprimono alla perfezione un’intera situazione storica, sociale, generazionale, esistenziale. È la sua performance sentita e controllata, potente e trattenuta che regge l’intero film e lo stabilizza, anche quando la storia sembra spingere un po’ troppo il pedale dello squallore e inserisce elementi pietistici troppo calcati (ad esempio il figlio disabile), sbandando pericolosamente verso la pornografia dell’immagine sociale. Quando Thierry trova impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato, Brizé gioca la carta della questione etica, ma la spreca in maniera frettolosa: il protagonista è incoraggiato a segnalare anziani taccheggiatori e cassiere ladre di buoni sconto, ma la risoluzione finale è forse un po’ troppo programmatica.

Ad un anno di distanza da Due giorni, una notte, il film di Brizé si aggancia al cinema dei fratelli Dardenne per indole, tematica e impianto stilistico. Laddove Due giorni, una notte era più ambizioso nella sua struttura drammatica (un quasi thriller ad orologeria), La legge del mercato è sicuramente più lineare nello svolgimento, ma anche più preciso nel descrivere il suo soggetto. Un realismo brutale e scevro di orpelli è l’unica scelta estetica possibile, ma nel suo cocciuto rigore, cristallizzato in una serie di lunghe e lunghissime sequenze, il risultato finale tende talvolta all’estenuante. Lontani dall’umanesimo totale di un Risorse umane, se volessimo citare un gioiello del genere, La legge del mercato rimane  un film incisivo, sentito e storicamente rilevante.