TRAMA
In un teatro centrale di Atene va in scena l’adattamento postmoderno di una tragedia greca classica. Come ogni sera, gli spettatori prendono posto e inizia la rappresentazione. D’un tratto le luci del palcoscenico si spengono. Un gruppo di giovani, vestiti di nero e armati di pistole, sale sul palco. Si scusano per l’interruzione e invitano il pubblico a prender parte allo spettacolo. La rappresentazione riprende ma con un’importante differenza: la vita imita l’arte e non viceversa.
RECENSIONI
Un innamoramento che avevamo creduto «fatale quando poi si è rivelato letale». Quello per una certa tendenza del nuovo cinema greco, diventata ben presto maniera, ridotta a decalcomania, non soltanto per colpa dei proseliti (cfr. Miss Violence di Alexandros Avranas) ma anche di chi fu il principale artefice di questo rinnovamento: The Lobster di Yorgos Lanthimos sembra esserne la controprova. Interruption di Yorgos Zois procede diligentemente e astutamente a rimorchio: è un film già fatto, già visto e di cui si è già scritto. L'idea, a monte, è quella di considerare «il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte»: alcuni hanno il coraggio di farlo, altri quello di rimanere comparsa.
In un teatro di Atene è proposto l'adattamento dell’Orestea eschilea, tragedia che, fin dalla sua ideazione, idealmente infrange la quarta parete della messinscena chiamando a giudizio del proprio eroe un tribunale di cittadini. Nel film di Zois avviene esattamente questo: un gruppo di spettatori è coinvolto nella rappresentazione per interpretare l'Areopago, l'organo giudicante che dovrà esprimersi in merito ad Oreste. Quello che a cui si assiste, quindi, è una cortocircuitazione tra finzione e realtà (intendendo con il termine “realtà” una dimensione che va oltre il discorso filmico, aperta all'invadenza delle contingenze storiche).
Un "giuoco delle parti" che oltre a dichiarare immediatamente la propria impostazione metatestuale, chiama subito in causa anche inevitabili termini di paragone. Viene infatti spontaneo confrontare l'operazione di Zois con La recita di Theo Angelopoulos, film che già rileggeva la Storia greca come un eterno susseguirsi di pratiche di dominio e sopraffazione, un dramma a struttura ciclica di cui il presente non è che una delle fasi, e che trovava proprio nell'Orestea il testo esemplare attraverso cui raccontare la tragedia di ogni esistenza, possibile soltanto costringendo con la violenza altre esistenze a non manifestarsi o a «diventare niente».
Ma quest'idea di Grecia come teatro di una recita, e dell'individuo ridotto a personaggio-burattino, erano già al centro dei lavori più interessanti di Lanthimos (Kynodontas; Alpeis), da cui Zois riprende anche la frontale freddezza formale dello stile registico, costruito, anche nel suo caso, attorno ad una recitazione atona, impersonale, stilizzata, didascalicamente straniante. Guardando Interruption non si vede dunque nulla di nuovo, ma si pensa soltanto, come diceva Genette, che e i modi della citazione, dellallusione non possono non partire che da elementi di impoverimento.