Drammatico

TAJ MAHAL

Titolo OriginaleTaj Mahal
NazioneFrancia/Belgio
Anno Produzione2015
Durata89’
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Fine novembre 2008. Louise, giovane francese trasferitasi con i genitori in India, si ritrova intrappolata nella sua stanza al Taj Mahal, la notte in cui un gruppo di terroristi islamici mette a ferro e fuoco l’hotel.

RECENSIONI

Fra il 26 e il 29 novembre del 2008, dieci attentati terroristici di matrice islamica colpirono simultaneamente diversi centri nevralgici della città di Mumbai, cuore finanziario dell'India moderna. Sebbene gli attentati avessero come principale obiettivo turisti e stranieri, furono soprattutto cittadini Indiani a essere feriti e a perdere la vita. Per sfuggire alle forze dell'ordine, uno sparuto gruppo di terroristi si rifugiò all'interno del Taj Mahal, il leggendario hotel di fronte Cancello dell'India. Fra il 27 e il 29 novembre, centinaia di ospiti furono evacuati, mentre granate e incendi devastavano intere ali dell'albergo. La mattina del 29, stanati gli ultimi terroristi, il Taj Mahal fu liberato dalle truppe speciali.
Di tutto questo, nel film di Nicolas Saada, non arriva che un'eco ovattata. Gli aspetti politici/economici/religiosi alla base degli attentati sono di fatto omessi. La prospettiva è invece quella di Louise, diciottenne arrivata in India insieme ai genitori (padre francese, madre britannica), che vive in tempo reale l'assedio al Taj Mahal, nascosta nella sua stanza. Una storia vera - quella di una ragazza sopravvissuta all'attentato - che Saada trasforma in un racconto psicologico.
Rimasta sola, Louise avverte rumori inquietanti provenienti dai piani inferiori. Avvertita da un dipendente dell'hotel, si chiude in camera e spegne le luci. E' solo l'inizio di una lunga notte di sgomento e paura, urla e spari, mentre il fuoco a poco a poco lambisce il perimetro della stanza. La coincidenza con lo sguardo di Louise è pressoché totale. Come lei, lo spettatore non ha accesso ad alcuna informazione riguardante gli avvenimenti esterni. La stanza dell'albergo dove Louise è rinchiusa è l'unico orizzonte conosciuto. Il mondo fuori si riduce alle telefonate ai genitori, rimasti fuori per una cena di lavoro, e agli sguardi veloci attraverso porte e finestre. Più che le immagini, occultate, sono i suoni a nutrire, alternativamente, le paure e le speranze di Louise.

Louise prende coscienza di quel che sta accadendo soltanto alla fine, quando lo vede sullo schermo, trasformato in un fatto di cronaca da un servizio del telegiornale che riporta le registrazioni delle telecamere interne dell'hotel, ad attacco ancora in corso. La prospettiva psicologica è riconfermata - nell'ultimo dei troppi finali -, quando il film mette a confronto le reazioni opposte di Louise e di Pierre, scampato al medesimo attentato, che si rifiuterà di incontrarla e di ricomporre insieme a lei i pezzi del mosaico.
Più che un fiacco thriller psicologico, Taj Mahal cerca di essere un resoconto intimista di un'esperienza di vita che si rivela trasformante. Louise è sottoposta a una prova d'iniziazione che sancisce il suo ingresso nella vita adulta. La location da cartolina turistica, con l'albergo da mille e una notte avviluppato dalle fiamme, rimanda a una dimensione quasi fiabesca. Protetta in una torre d'avorio, fino al momento in cui qualcosa di esterno e di violento penetrerà con forza nel suo mondo, Louise diventa improvvisamente grande quando capisce che i genitori non hanno (più) il potere di proteggerla. E, proprio quando sembra ormai sopraffatta dalla paura della morte, si trasforma in una consolatrice per un'altra donna, Giovanna, che occupa la camera al piano di sotto.
Saada mette in scena un racconto di formazione racchiuso in una sola nottata, e segnato da un evento repentino e imponderabile. Quel che c'è d'importante si svolge tutto dentro la testa di Louise - non casuale, ma decisamente pretenzioso, è quindi il riferimento a Hiroshima mon amour, che Louise sta guardando la sera dell'attentato. Il problema è che Saada non è Resnais - e affidare ai cambiamenti espressivi di Stacy Martin tutto il peso psicologico ed emotivo del film si rivela una scelta piuttosto azzardata.
Se la vicenda non fosse già nota alle cronache, Taj Mahal tradurrebbe in immagini un sentimento di angoscia cieco di fronte a un evento inatteso, sconosciuto e terrorizzante. Peccato che - tra siparietti imbarazzanti (si veda la ninna nanna al telefono), dialoghi forzati, cali improvvisi di tensione, e momenti strappalacrime ai limiti del ricattatorio - il tutto scada un po' troppo spesso nel ridicolo involontario. E, quasi inevitabilmente, si finisce per chiedersi a che cosa serva richiamare la memoria degli attentati di Mumbai per poi infischiarsi completamente di capire come siano andate le cose.