Drammatico

WEDNESDAY, MAY 9

Titolo OriginaleChaharshanbeh, 19 ordibehesht
NazioneIran
Anno Produzione2015
Durata102'

TRAMA

Un uomo chiamato Jalal pubblica un annuncio in uno dei giornali del mattino di Teheran per donare 10.000 dollari a una persona bisognosa. L’annuncio colpisce l’attenzione di un gran numero di persone. Indeciso su chi possa meritare il premio Jalal decide di affidarsi al caso. La prescelta è una diciannovenne incinta e ripudiata dalla famiglia. Dovrà vedersela con Leila, l’ex fidanzata di Jalal, ora sposata a un uomo malato e bisognoso di una costosa operazione.

RECENSIONI


Il regista iraniano Vahid Jalilvand, al debutto nel lungometraggio ma con una solida esperienza in televisione e nel documentario, decide di mostrare le contraddizioni del suo paese attraverso un racconto dalla struttura a incastri dove tre differenti storie si intersecano. Lo sfalsamento temporale è uno stratagemma non nuovo che aiuta a dare mordente all’incedere delle vicende perché gli interrogativi si moltiplicano, le risposte vengono date gradualmente, l’interesse è mantenuto costante. Al di là delle strategie di sceneggiatura, comunque importanti per catturare lo spettatore, colpisce la capacità del film di contestualizzare le tematiche sociali all’interno di un racconto di pura finzione dallo spunto decisamente originale.


L’idea di un benefattore che decide di regalare 10 mila dollari a chi si presenterà in un ufficio raccontando la storia personale più forte, dalle necessità economiche sottese più impellenti, offre infatti vari spunti di riflessione. Si tratta di una duplice critica, a una società incapace di dare a ognuno il giusto benessere e agli egoismi umani che impediscono a chi governa di ridistribuire con equità le ricchezze, ma è anche un inno alla capacità empatica di quei pochi in grado di capire i bisogni altrui sacrificandosi in prima persona. Nessun buonismo, però, nella gestione della vicenda, ma più che altro l’espiazione di un senso di colpa che trova nell’altruismo una sorta di catarsi.


Nelle singole storie messe in scena emerge poi, con uno stile asciutto e quasi documentaristico, il profondo maschilismo della cultura iraniana, con personaggi femminili, un po’ come ne Il cerchio di Jafar Panahi, soggetti a intollerabili soprusi e angherie quotidiani; sempre tra le righe arriva forte e chiara anche l’inadeguatezza delle istituzioni, subito pronte a reprimere piuttosto che ascoltare, così come il peso schiacciante delle tradizioni, inadeguate all’evoluzione dei tempi e punitive nei confronti delle giovani generazioni e di chi cerca di mantenere integra la purezza dei sentimenti.


Un tipo di cinema che sembra figlio della lezione e del successo di Asghar Farhadi per la capacità di abbinare la denuncia con una storia raccontata in modo avvincente. Non una declamazione, ma una fotografia della realtà attraverso l’agire dei personaggi. Uno sguardo più concreto e meno estetizzante rispetto al cinema iraniano post-rivoluzionario (Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf, ma anche Jafar Panahi), costretto, per sfuggire alla rigidissima censura, ad affidarsi al simbolismo, a puntare sull’infanzia e a evitare il più possibile personaggi femminili e tematiche sociali. Che sia in arrivo una vera e propria new-wave iraniana? Speriamo solo che, come tutte le novità stilistiche, non si appiattisca nell’omologazione traducendosi in un mero copia/incolla, ma continui ad ammantare di personalità l’urgenza comunicativa.