TRAMA
Dopo la morte del figlio per Javier e Amanda la vita di coppia è diventata una gabbia. Se Javier vorrebbe provare a superare insieme il dolore, Amanda è decisa a separarsi.
RECENSIONI
Ormai l’elaborazione del lutto è diventato un genere a sé. Sono tanti, infatti, i cineasti che utilizzano l’esperienza cinematografica per mostrare il profondo contrasto tra un prima sereno e un dopo di disperazione. In mezzo una tragedia, che scombina punti che sembravano fermi e inattaccabili e ricorda l’assoluta fragilità della vita. Il cileno Matías Bize affronta la prova con sensibilità, cercando di non rendere gratuito il prima e lontano dai grandi eventi, e dalle svolte risolutive e sensazionalistiche, il dopo. La semplicità con cui tenta di andare alle radici dei sentimenti è apprezzabile, così come il lavoro sugli attori, forse solo un po’ troppo belli ma sempre misurati e al centro delle emozioni che vogliono trasmettere.
Se l’approccio è quindi funzionale al tema, ciò che manca, e alla lunga si fa sentire, è uno sguardo meno convenzionale. Il percorso si arena infatti in sequenze piuttosto prevedibili, dove a dominare sono i silenzi e un dolore che prende la forma di occhi persi nel vuoto, lacrime, rabbia. Tutto plausibile, certo, ma anche decisamente scontato nel modo in cui è comunicato. Mai un’irrazionalità che esca dai binari lasciando davvero sconvolti, un guizzo che arrivi a disturbare, un interrogativo che produca un qualche turbamento.
Nella seconda parte a prendere il sopravvento è la distanza che si viene a creare tra marito e moglie in seguito al trauma subito, in pratica raddoppiando il lutto perché alla sofferenza per la perdita del figlio si somma quella per la fine di un amore, incapace di trovare nuovi appigli da cui ripartire. La regia di Bize indaga il rapporto di coppia soffermandosi sulle sfumature, i non detti, cercando di circoscrivere affetti e pulsioni, magma impalpabile in cui è facile perdersi, ma la materia narrativa latita e rimandi, svolte e catarsi sono affidati soprattutto al paesaggio e ai suoi mutamenti. Sensibilità e pacatezza si apprezzano, lo stereotipo del dolore un po’ meno.