TRAMA
1921. Non lontano da Parigi, nel castello di Marguerite Dumont, si festeggia. Come ogni anno, un gruppo di appassionati di musica vi si riunisce a favore di una grande causa. Nessuno sa molto della proprietaria, tranne che è ricca e che ha dedicato tutta la vita alla sua passione: la musica. Marguerite canta. Canta con tanto entusiasmo, ma è terribilmente stonata.
RECENSIONI
Se non fosse ispirato a fatti realmente accaduti sembrerebbe impossibile. Eppure per anni una donna molto ricca e volitiva (nella realtà l’americana Florence Foster Jenkins, nella finzione la francese Marguerite Dumont), ha studiato canto e fatto concerti (per lo più per amici e conoscenti) pur essendo completamente stonata. La sua tranquillità economica le permetteva di fare ciò che voleva e il crocchio che la seguiva decideva di compiacerla soprattutto per piaggeria, ma anche perché colpito da un ottimismo e un’esuberanza davvero contagiosi. Il francese Xavier Giannoli, apprezzato soprattutto in patria, segue le gesta, tra il patetico e il buffo, della protagonista, cercando di non giudicarla ma di raccontarla attraverso il suo candore.
Il film gode di una ricostruzione storica ineccepibile, con scenografie e costumi perfetti che creano un’atmosfera credibile e coinvolgente. La sceneggiatura invece non osa granché e se all’inizio gioca molto sul mistero che avvolge questa donna priva di talento per il canto, e che invece fa del canto la sua vita, non si capisce mai quanto consapevole e quanto invece sprovveduta, finisce poi per ingessarsi, replicando a più riprese le stesse dinamiche: la preparazione per un evento sempre più grande e inadeguato alle doti canore della protagonista, il suo entusiasmo, la disciplina e il rigore che mette a servizio dell’arte (senza purtroppo essere ricambiata), l’allontanamento progressivo del marito, stufo dell’ennesima pagliacciata, l’avvicinamento di personaggi tutt’altro che disinteressati, e il superamento indenne dell’ennesima prova, fino a quella finale, inevitabilmente punitiva, davanti a un vero pubblico in un vero teatro.
Catherine Frot, grande caratterista francese, solo negli ultimi anni assurta al ruolo di protagonista (La cuoca del presidente, del 2012, la sua ultima fatica), si cala con divertimento e complicità nel ruolo dando risalto alla determinazione di una donna che supplisce alla noia e alle carenze affettive (proprio su questo aspetto la sceneggiatura si abbandona a un po’ troppo facile psicologismo) attraverso una passione che si rivelerà fatale. Perfettamente calati nel ruolo anche gli altri interpreti, nonostante alcuni interventi canori in playback, non sempre in perfetto sincrono, raggelino un po’ l’impatto.
Ciò che manca, però, è forse un colpo d’ala in grado di trasformare il compito diligente di Giannoli in un’opera più ardita e comunicativa, capace di andare oltre le apparenze per sondare un mistero (il teatrino è andato avanti per anni) di grande fascino. Una donna egocentrica fiera delle proprie doti, in realtà assenti, da una parte, un pubblico di ipocriti che non ha il coraggio, e la convenienza, di dire la verità. A questo punto è grande la curiosità di vedere cosa accadrà allo stesso soggetto nelle mani di Stephen Frears e con Meryl Streep come protagonista in Florence Foster Jenkins, in uscita nel 2016.