Drammatico, Sala

FUOCHI D’ARTIFICIO IN PIENO GIORNO

Titolo OriginaleBai ri yan huo/ Black Coal, Thin Ice
NazioneCina
Anno Produzione2014
Durata110'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche

TRAMA

1999, una cittadina mineraria della Cina del Nord. Il detective Zhan Zili indaga con la sua squadra su un inquietante caso di rinvenimento, ovunque in quel territorio, di frammenti di cadaveri smembrati. Rimane ferito in uno scontro a fuoco dove perdono la vita i suoi colleghi. Cinque anni dopo, sospeso dal sevizio e riciclatosi come guardia giurata, torna a investigare, privatamente, su quegli eventi delittuosi. Tutto porta a una giovane donna, commessa in una lavanderia. Zhan Zili ne diventa un cliente assiduo al fine di pedinarla.

RECENSIONI


Un camion carico di carbone da cui spunta un sacchetto sospetto, passa attraverso una galleria, scarica il materiale in uno stoccaggio ai piedi di una centrale nucleare, in un paesaggio industriale desolato. Da lì passiamo a un nastro trasportatore in un impianto di lavorazione del carbone. Solo a questo punto del ciclo produttivo l’involucro viene scoperto e si rivela contenere una mano amputata. Un imponente incipit macabro, hitchcockiano, apre il terzo film di Diao Yinan, trionfatore a Berlino. Dove l’eleganza della messa in scena appare immediatamente contaminata da una presenza disturbante. Un’enunciazione di un film che presenta la struttura narrativa tipica del thriller con declinazione hard-boiled: un’investigazione deduttiva; un fosco detective dall’animo tormentato che prosegue le indagini fuori dalle regole; una ‘darkissima’ lady; un mondo dove vige la legge della giungla. Diao Yinan porta avanti la narrazione con montaggi analogici e stacchi davvero arditi (basta pensare alla sequenza uomo agonizzante che afferra la pistola / donna che urla / ospedale), costellando il film di immagini surreali come il cavallo in una stanza. E la confessione rivelatrice viene buttata lì all’improvviso, inaspettata, in un gioco di decostruzione delle regole del genere.


Black Coal, Thin Ice è un thriller anomalo, che affonda nella fanghiglia, in un caos materico di nevischio, terriccio, ghiaccio scandagliato nelle sue rugosità, carbone. Che si costruisce su conflitti cromatici/estetici come già enunciato dal titolo internazionale (quello originale cinese vuol dire “fuochi d’artificio di giorno”). Un universo che si fonda come sull’ápeiron della filosofia greca, un pulviscolo indeterminato, indefinito, il fango e la terra (vedi la donna che seppellisce ai piedi di un albero le ceneri, o presunte tali, del marito).
Tendente all’astratto sono anche i paesaggi antropici delineati da Diao Yinan, quasi una propaggine del cinema di Jia Zhangke. Panorami aridi, colori a volte scialbi a volte vivaci, interni luccicanti, arredamenti pacchiani, algide luci al neon. Città fantasma, atmosfere irreali e desolate riempite di divertimentifici chiassosi, balere, piste di pattinaggio, luna park, ruote panoramiche, valzer viennesi, circhi. Tutto confluisce nel finale, nella pirotecnica tempesta di fuochi d’artificio e petardi, nella disgregazione caleidoscopica e anarchica, nella frantumazione di ogni residuo dell’apparente struttura che ci si aspetta da un noir.