TRAMA
Caleb, un programmatore 24enne della più grande società internet del mondo, vince una competizione il cui premio è trascorrere una settimana in un rifugio di montagna che appartiene a Nathan, il solitario CEO della società.
RECENSIONI
Per chi studia la filosofia dell'intelligenza artificiale, i due problemi più importanti sono quelli della coscienza e del controllo. Il problema della coscienza riguarda non solo la possibilità tecnica di realizzare un cervello artificiale dotato di intelligenza generale e quindi anche di coscienza, ma anche il modo in cui possiamo appurare effettivamente di esserci riusciti. Questo è il problema introdotto da Alan Turing col suo famoso test e che si pone Garland in Ex Machina, drammatizzandolo con stile e misura. Come facciamo a sapere se una macchina è cosciente nel senso in cui lo siamo noi umani? Il personaggio interpretato da Oscar Isaac ha le sue idee in proposito e il film non è altro che la realizzazione di questo esperimento, con tanto di illusioni, doppi fondi, colpi di scena e altri giochi drammatici. Il problema del controllo è invece, probabilmente, la questione più rischiosa. Se riusciamo a creare macchine che sono più intelligenti di noi (e quindi a loro volta capaci di creare macchine ancora più intelligenti), nel giro di poco tempo ci ritroveremo in una posizione di inferiorità. Come disse già nel 1965 il matematico I. J. Good, l'invenzione di una macchina ultra-intelligente sarà l'ultima invenzione dell'uomo. Da quel momento in poi ci sarà infatti un'esplosione di intelligenza che lascerà ben presto l'intelligenza umana parecchio indietro. Siamo sicuri che queste macchine si comporteranno bene? Il filone della machine ethics è ancora agli albori, ma solleva rompicapi filosofici affascinanti e inquietanti. Purtroppo lo script di Garland, pur ben fatto e deciso a flirtare con l'aspetto filosofico dell'AI, lascia perdere presto le grandi questioni evocate, e finisce a trastullarsi con un po' dei soliti stereotipi: lo scienziato genio solitario svalvolato, l'eroe naïve, il robot di cui non si sa se bene fidarsi o no - e qualche altro cliché che taccio perché il gusto di un thriller sci-fi come questo è più nella suspense del momento che nell'analisi successiva. Per un film commerciale, l'approccio filosofico e claustrofobico è forse un po' troppo - ed ecco perché la distribuzione nostrana (che non brilla certo per coraggio o innovazione) l'ha relegato alla stagione dell'afa; per un film con l'ambizione di dire cose intelligenti sull'argomento, lo sviluppo è invece poverello. Visivamente, Garland si muove bene tra l'hi-tech minimalista che per luci, tempi e colonna sonora ben si accorda con le premesse della fantascienza filosofeggiante (Moon, qualche anno dopo, dimostra ancora più il suo notevole valore). Strane e interessanti, poi, le incursioni più crude e quasi horrorifiche che sporcano nella seconda parte la pulizia visiva del film, facendone però un ibrido incerto (soprattutto nella scrittura) tra fantascienza speculativa e b-movie sui cyborg con una patina molto anni 1980 (inevitabile a un certo punto pensare ad Android di Aaron Lipstadt, un film a basso budget della bottega di Roger Corman che turbò a lungo i miei sogni di bambino). La cosa migliore sono le interpretazioni di Isaac e Gleeson.
Si sono delineate precise ossessioni tematiche nell’opera di Alex Garland, che qui esordisce alla regia: da quando (1999) prestò il suo romanzo a Danny Boyle per The Beach, alla più recente sceneggiatura Non Lasciarmi per Mark Romanek, dove rifletteva sul possesso o meno di un’anima da parte dei cloni, passando per zombi creati dall’odio nel mondo (28 Giorni Dopo) e da follie mistiche dell’uomo alla vana ricerca di generatori di vita (Sunshine). Il collegamento con The Beach è evidente: immerso nella natura, l’animo umano corrotto non smette di prevaricare il prossimo. Il miliardario informatico di Oscar Isaac è paradossalmente e volutamente impiantato in un contesto selvaggio dove crea la vita artificiale, tentando di dimostrarne la coscienza mentre la nega nella sopraffazione. Il monito di entrambi i film è che gli animi più pericolosi sono quelli dominati dal “virtuale” (emblematiche le ultime parole del personaggio di Isaac, un rifiuto della realtà). Esseri che tentano il controllo sull’esistente: Ava, in questo senso, diventa umana nel momento in cui emula il suo aguzzino. Diversamente da Boyle, Garland possiede uno stile registico che, più coerentemente, non sposa l’artificiosità di sguardo: messa in scena piana, umanistica, giocata sull’interazione dei personaggi e lo svelamento progressivo del plot. Occlusa in un edificio, è in realtà dinamica e concentrata a cogliere, anche figurativamente, centri di interesse per lo sguardo e per la riflessione su cosa definisca l’essere umani: una vita senziente e manipolatrice. L’altro volto sintetico dell’amore di Lei. Temi non originali (ma il colpo di scena finale è una sorpresa), con Garland che ha citato Star Trek (un episodio del quale ha la stessa trama, ma senza mito di Frankenstein e Prometeo), ma è potente l’idea di un software basato su di un motore di ricerca: Ava è la sintesi del genere umano, deus ex machina.