TRAMA
Evan Lake, un agente veterano della CIA, si ritrova improvvisamente ai ferri corti con l’organizzazione a cui ha dedicato tutta la sua vita e, a causa dei primi sintomi di demenza precoce, viene spinto verso un pensionamento anticipato. Il suo giovane protetto Milton Schultz sulle tracce del jihadista Muhammad Banir scopre che potrebbe essere ancora vivo.
RECENSIONI
Troppo oltraggioso l'affronto inferto con The Canyons.
«Abbiamo tutti sperimentato le frustrazioni che derivano dallaver a che fare con la censura delle major. Ma oggi, grazie ai progressi fatti con il digitale e la distribuzione, possiamo raccontare una storia esattamente come vogliamo. Il cinema sta cambiando, e noi con lui». Così dichiarò Paul Schrader a riguardo del progetto nato su Twitter per volontà di Bret Easton Ellis, autore del soggetto e della sceneggiatura. Entrambi certi che per poter realizzare questo film fosse necessario sgravarsi dalle limitazioni inevitabilmente imposte dalle esigenze tipicamente industriali delle pachidermiche macchine produttive hollywoodiane, i due autori hanno trovato il sostegno materiale di Braxton Pope, ex fondatore di Lionsgate deciso a incoraggiare un mutamento nell'industria cinematografica e a lasciare completa libertà creativa ai cineasti, supportato da una campagna di crowdfunding lanciata sulla piattaforma Kickstarter attraverso la quale The Canyons è riuscito a raccogliere ben 250mila dollari, contro unaspettativa iniziale di 100mila. Forti, di fronte a tanta fiducia, i due autori non hanno indietreggiato nel congegnare un ordigno cinematografico che testimoniasse la presa d'atto nei confronti di una situazione irreversibile, definitiva (la morte del cinema, o almeno per come lo abbiamo conosciuto nel Novecento, cioè spettacolo collettivo di grande incidenza sullimmaginario comune), e allo stesso tempo capace di mostrare come ancora si vive in un mondo alla fine del mondo (non cè più un regista, ma soltanto produttori anonimi e diffusi, attrici e attori in vendita, copioni da quattro soldi). The Canyons mette in scena la fine di ogni speranza progettuale, un'operazione da leggersi anche come atto d'accusa contro la razza dei vincitori, coloro che hanno conquistato mandando in rovina, colonizzando l'immaginario e la produzione del desiderio con le logiche del profitto.
Era necessario partire da questa sorta di punto di non ritorno della carriera di Schrader per poter decifrare il fallimento del suo ultimo progetto cinematografico, Il nemico invisibile; fallimento di cui non si può imputargli interamente la responsabilità. Schrader, subentrato in corso d'opera, dopo che la regia era stata inizialmente affidata a Nicolas Winding Refn (rimasto comunque nel progetto in veste di produttore esecutivo), accetta di dirigere il film rassicurato dal fatto di poter riscrivere la sceneggiatura, ma soprattutto di poter girare a modo proprio. E, stando alle intenzioni, il progetto scharderiano avrebbe dovuto essere una declinazione in chiave espressionista (colori e inquadrature distorte, per una percezione alterata della vicenda) di un tema che il cinema americano sente con molto urgenza, e cioè quello della «raffigurazione della guerra e del nemico nella realtà trasformata in un continuo conflitto di immagini», come ha efficacemente titolato il proprio speciale la rivista Marla. E su questo tema, sul quale si innestano i concetti di esperienza del limite, di male e, soprattutto, di sovranità, Schareder prosegue la riflessione attorno alle proprie ossessioni, lavorando sulle crepe oblique dellidentità: l'agente della CIA Evan Lake e il terrorista Muhammad Banir sono l'uno l'antagonista/nemesi speculare dell'altro. Entrambi dei reduci che si ostinano giocare la loro personale partita nonostante lo scacchiere geopolitico sia completamente ridisegnato. Ostinati nel cercare di dimostrare e dimostrarsi di essere ancora ciò che hanno rappresentato, facendo credere e credendosi più forti del sopraggiungere inevitabile della debolezza biologica (Lake è affetto da una grave forma di demenze senile, Banir gravato dalla talassemia). Sono l'ennesima variante di quella che è la figura paradigmatica dell'opera schraderiana, degli altri Travis Bickle; come lui rappresentano l'incarnazione della solitudine: sono degli isolati, dei solitari che non sanno, o non vogliono, instaurare dei legami duraturi. A sostanziare questa lettura la scelta di presentarci i due personaggi adottando l'immagine ricorrente nel cinema di Schrader, quella dell'uomo che, in condizione di isolamento, letteralmente mette in scena le proprie ossessioni.
E questo poco, che peraltro va cercato, è tutto ciò che rimane del lavoro di Schrader, che una volta ultimato è stato totalmente stravolto in fase di post-produzione dai produttori della Lionsgate che, insoddisfatti del risultato, perché ritenuto commercialmente debole, hanno demolito, una dopo l'altra, le scelte registiche, condannando Il nemico invisibile all'anonimato.
Dopo la lucidità e la sicurezza, progettuale e produttiva, dimostra con The Canyons, non si può perciò perdonare a Schrader la scelta di tornare a collaborare con il sistema poco prima condannato, ritenuto responsabile della perdita di senso del cinema. Di fronte a quest'ennesima colonizzazione da parte delle logiche del profitto tornano mente frammenti sparsi dell'apocalittico discorso del visitatore de Il cavallo di Torino: «Hanno comprato tutto e hanno ottenuto ogni cosa con una lotta subdola e meschina, di conseguenza hanno impoverito tutto. Perché tutto quello che toccano, e loro toccano tutto, viene avvelenato. [
] Una fine trionfale. Prendere possesso e screditare. Svalutare e possedere.»