Drammatico, Recensione

LA FAMIGLIA BELIER

TRAMA

Paula è una diciassettenne come tante, la cui vita è divisa tra la scuola, l’amica del cuore, le prime cotte, e l’aiuto dato di tanto in tanto nella fattoria di famiglia. Con una piccola differenza, rispetto alle sue coetanee: la famiglia di Paula, padre, madre e fratello, è interamente composta da sordomuti. Unico membro del nucleo familiare a non soffrire di questo handicap, la ragazza scopre di avere un talento canoro fuori dal comune: un talento che la porterà, però, in rotta di collisione coi genitori…

RECENSIONI

Possiamo dire che, sotto un certo punto di vista, La famiglia Bélier presenta tutti gli elementi per una perfetta commedia di confezione non becera ma di respiro comunque popolare: sorrisi, buoni sentimenti, qualche lacrima, lieto fine. Il trionfo commerciale in patria e gli ottimi incassi anche al box office italiano sembrano dirci che la formula utilizzata è corretta. Inoltre, i dati confermano come il film abbia coinvolto anche – o soprattutto? – il cosiddetto “pubblico di qualità”, in cerca di un po’ di leggerezza, pur sempre con garbo. Eppure, sotto l’altro punto di vista – forse quello della cinefilia dura e pura, ma io direi piuttosto del buonsenso cinematografico – La famiglia Bélier non è semplicemente un film poco convincente, ma è soprattutto un film fastidioso per il modo aberrante in cui declina personaggi e sentimenti. Ad allarmare è innanzitutto la rappresentazione devastante che il film dà dell’handicap. Karin Viard e François Damiens (padre e madre) passano l’intero film a contorcersi in smorfie e siparietti pagliacceschi, scadendo dal primo minuto in macchiette al confine con la demenza. È poi il ritratto della coppia come “buoni selvaggi” a dispiacere davvero: al pari del bestiame che allevano, i due sono rappresentati prima di tutto nel loro lato animale: insaziabili nelle loro attività sessuali, affetti da infezioni derivate dalle stesse, esaltati dalle mestruazioni della figlia. Il film risulta inoltre diffusamente schematico, prevedibilissimo ad ogni svolta narrativa e spesso improbabile. Tenta più volte di innalzarsi verso una tanto agognata pornografia dei sentimenti, ma i limiti espressivi lo fermano al semplice ricatto emotivo (la scena del saggio) o al commosso che vuol essere commovente (l’audizione) per culminare su un fermo immagine finale sul viso della protagonista che grida vendetta. I 400 colpi, al pudore cinematografico. Unica nota positiva, la giovane protagonista, Louane Emera – presenza tenera e luminosa – giustamente premiata con il César come miglior attrice emergente.