Avventura, Recensione

BLACK SEA

Titolo OriginaleBlack Sea
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2014
Genere
Durata115'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Il capitano Robinson, con un divorzio alle spalle, viene licenziato in tronco dall’Agora, la società di recupero relitti per cui lavorava. Ossessionato dal desiderio di riscattare la propria condizione sociale, decide di recuperare un carico d’oro dentro un sommergibile tedesco affondato nel Mar Nero durante la Seconda Guerra Mondiale. Allestito l’equipaggio, partirà alla volta di questa impresa impossibile.

RECENSIONI

Il black sea del titolo è l'abisso di un sistema che inghiotte la disperata precarietà dei protagonisti, a cui non rimane altro se non sfruttare la propria invisibilità sociale per aspirare alla tanta agognata rivincita. Ecco quindi che una sporca dozzina di inglesi e russi abbraccia il sogno di fregare lo stesso potere che l'ha emarginata, nel fomento di una rivalsa mossa da ideali egualitari dove tutti utopicamente potranno sentirsi sullo stesso piano. La rapacità dell'uomo però ci mette poco a scardinare il miraggio socialista di Robinson e ben presto l'equipaggio, in balìa dell'oscurità del mare, scoprirà quanto il primo vero nemico sia se stesso, pieno di pregiudizi (la differenza di nazionalità), superstizioni (la 'verginità' del giovane Tobin come cattivo presagio), ma soprattutto ben lontano dal saper cooperare. Il denaro, e di conseguenza il potere, dà alla testa e quello che poteva sembrare la possibilità di riemergere dalla crisi economica si tramuta, di nuovo, nella stessa ed eterna lotta per la sopravvivenza. E di conseguenza non può mancare, anche in questa illusione di comunione proletaria, l'assemblarsi di una gerarchia, con il capitano Robinson (Jude Law) che prende in mano le decisioni di tutta la collettività con l'unico scopo di riportare i lingotti d'oro in superficie. Non è quindi un caso che il ritrovamento del sommergibile nazista, con i suoi scheletri di follia e cannibalismo, diventi per analogia il lato più oscuro della natura umana (e della Storia) verso cui il gruppo si sta protendendo. Il regime dittatoriale del capitano, ancorato al solo desiderio di riscatto sociale, si incancrenisce sempre di più, non tenendo conto del bene più prezioso, ovvero la propria vita e quella dei suoi compagni.

Debitore del cinema di Aldrich, Black Sea focalizza l'antieroica missione sulle maschere dei suoi personaggi e nelle loro relazioni conflittuali. Il sottomarino vorrebbe così fungere da terreno di scontro e condizione agonizzante, pieno com'è di limiti tecnologici, con lo scafo corroso dalla ruggine e tecnicamente inaffidabile. A mancare però è proprio un uso dello spazio che esalti il rapporto del mezzo con chi lo abita. Il tentativo è quello sacrosanto di tracciare una struttura claustrofobica che venga percepita come una trappola per chi sta al suo interno e un luogo di divisione (il progressivo passaggio da inquadrature di gruppo a singoli piani), ma non si riesce a viverla come tale. Paradossalmente l'unica vera sequenza che gioca con la suspence è la missione di recupero dei lingotti d'oro, fuori dal sottomarino, con un gioco di montaggio sui dettagli piuttosto familiare, ma pur sempre appetibile nella sua riconoscibilità (la fune di metallo, l'asse per far scorrere il traino, la voragine sottostante). Il vero problema però è nella scrittura, con la scelta di McDonald di insistere nella retorica politica dei dialoghi, un proposito già fin troppo chiaro nella prima parte sulla terra ferma, con gli ex lavoratori affranti e in preda al loro rancore, che evidenziano più di una volta l'intenzione di rimettersi in gioco.
Ai problemi di sceneggiatura si affiancano anche scelte formali di dubbia riuscita, in particolare l'uso deleterio dei flashback in cui il protagonista pensa alla famiglia ormai perduta, con l'eccessiva fotografia virata sui bianchi (in chiara opposizione con l'oscurità del mare), e limitanti digitalizzazioni capaci di rovinare la prima e attesa immersione del sottomarino. Tutto ciò non ferma l'esigenza di guardare verso il futuro con un finale che si aggrappa, prevedibilmente, alla speranza per le nuove generazioni.

Kevin MacDonald s’imbarca nella prima prova deludente della sua onorabile carriera, prestando il fianco ai suoi talloni d’achille, ovvero i profili psicologici e la credibilità dei colpi di scena. Mette in immagini la sceneggiatura di Dennis Kelly, che viene dal serial Utopia, produce e aggiunge un tassello al sottogenere claustrofobico-marinaresco per cui il cinema inglese ha fornito almeno un modello archetipico, Morning Departure di Roy Baker. Richiama il cinema corale e cinico di Robert Aldrich, nella speranza di risalire a pietre miliari come Il Tesoro della Sierra Madre e Vite Vendute (citati dallo sceneggiatore), con l’aggiunta di un discorso politico che insiste (troppo) sull’ansia di rivalsa del protagonista di “classe inferiore”, sfruttato e licenziato dai facoltosi per cui ha sacrificato anche la famiglia (continue immagini di moglie e figlio perduti). Non ha fatto bene i conti con uno script scolastico e inverosimile: il motore primo della vicenda, infatti, non è il concetto dell’avidità umana che, progressivamente, logora e porta a compiere gesti inconsulti ma l’irricevibile carattere dell’esperto sommozzatore di Ben Mendelsohn, dedito ad azioni che sono l’una più assurda dell’altra. Inizia uccidendo un uomo senza motivo, persevera facendone fuori un altro convinto che, rimanendo in meno, il “boss” si convincerà ad abbandonare la missione (nonsense abissale) e trova anche un compagno di merende, il Daniels non meno idiota di Scoot McNairy. È campato in aria anche il colpo di scena del “bluff” dell’azienda Agora per recuperare l’oro: sono più credibili le saghe spionistiche in acqua di Clive Cussler. Un regista accorto avrebbe reso il tutto meno artificioso e inverosimile, magari provando a giustificare certe azioni insensate con studi caratteriali meno affrettati. MacDonald non si accorge di nulla, gira con il consueto piglio realistico (in lingua originale, l’accozzaglia di lingue parlate e tipi è fenomenale), raccoglie la sua Sporca Dozzina (il reclutamento iniziale, però, ricorda maggiormente Ocean’s Eleven), ha gusto per la tensione e conta sul finale a effetto (che funziona).