Biblico, Recensione

EXODUS: DEI E RE

Titolo OriginaleExodus: Gods and Kings
NazioneU.S.A. / Gran Bretagna / Spagna
Anno Produzione2014
Genere
Durata150'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La (solita) storia di Mosè.

RECENSIONI

La tentazione sarebbe quella di archiviare l'ultimo Scott in fretta e furia: kolossal biblico vuoto e pomposo, costellato di sequenze riuscite che non lo riscattano dalle derive trash e dalla quasi totale assenza di ritmo. Con una caratteristica interessante, ossia l'impostazione agnostica: Mosè potrebbe essere un pazzo visionario che agisce seguendo le indicazioni del suo dio/bambino immaginario. Anche delle piaghe, ad esempio, si dà una spiegazione razionale (il consigliere del faraone le illustra a Ramses e a noi spettatori), così come della separazione delle acque del Mar Rosso, riconvertita in conseguenza tsunami-ca della caduta di un meteorite.
Al netto di questa idea di sceneggiatura, c’è il vuoto. O meglio, c’è qualche (altro) tentativo di colmare il vuoto che si risolve in poco o nulla: qualche proiezione nel futuro della questione israeliano-palestinese (si dice che nella terra di Canaan gli ebrei saranno visti come invasori), citazioni cinefile (Ramses conciato come lo Yul Brynner DeMilleiano) e altre schegge sparse. Ma Zaillian e soci non sono Monahan, non hanno la sua scrittura diabolicamente autoreferenziale e cerchiobottista, compagna di viaggio ideale della perizia kolossale del Ridley Scott post Gladiatore (Le Crociate).

Perizia che qui, in verità, procede un po' a singhiozzo. Nelle sequenze concitate c'è ancora poca chiarezza espositiva, però i campi lunghissimi fanno la loro porca figura. E non va dimenticata l'efficace rappresentazione delle piaghe, puntellata di gustosi riferimenti finto-bassi (le scene coi coccodrilli impazziti sanno di monster movie postmoderno, tipo Piranha di Aja). Con un ma. Perché concentrare tutte le piaghe in un montaggio frenetico che non lascia neanche il tempo di godersele in pace? Non sarebbe stato meglio, dal punto di vista dell'entertainment puro, diluirle e alternarle alle (spesso noiosissime) sequenze dialogiche che risultano, a loro volta, concentrate e ammorbanti? E questo è un problema a cui si già accennato: la mancanza di ritmo, o meglio, il totale sbilanciamento ritmico.

Ultime le parimenti già accennate derive trash: Turturro deturpato dall’eyeliner è carnevalesco in senso deteriore, tutte le apparizioni del dio-bambino sono spiazzanti e sottilmente fastidiose ma, più in generale, non sono rari i momenti in cui affiorano non precisamente localizzabili sensazioni Brian di Nazareth. E qui si potrebbe anche aprire una parentesi su quanto il kitsch possa essere ascrivibile a tratto caratterizzante, quasi a cifra scottiana, ripensando anche a film come Legend, Soldato Jane, Hannibal o Prometheus. Ma anche no. E conviene forse archiviare Exodus come un kolossal biblico vuoto e pomposo, costellato di sequenze riuscite che non lo riscattano dalle derive trash e dalla quasi totale assenza di ritmo.

Al 2014, il peggior film di Ridley Scott: nasce da premesse irrisolte a livello “teologico” e si consegna a scene improbabili, per non dire involontariamente ridicole, figlie della sceneggiatura scritta a otto mani. Scott, in ogni intervista, proclamandosi agnostico, si è difeso dalle accuse di inesattezza “storica” appellandosi al genere biblico: ha messo in scena il Mito, non la Storia ma, d’altro canto, per piaghe e “miracoli” ha optato per il taglio “scientifico”, razionalmente spiegabile. Come per Il Gladiatore e Le Crociate, è stato attratto dal racconto intriso di tragedia greca: il rapporto fra due uomini cresciuti come fratelli e, in seguito, divisi dalla religione e dalla ragion di stato. Al di là delle dichiarazioni e degli intenti, però, il compromesso porta al fallimento: gli autori non hanno avuto il coraggio di riscrivere il racconto dell’Antico Testamento fino in fondo, hanno solo cambiato i segni esteriori con cui, fedele all’iconografia biblica, si esprimeva il Cecil B. De Mille de I Dieci Comandamenti. Dio è comunque il motore di tutto e prende i modi di un bambino tignoso che tira per i capelli Mosè dentro la sua “missione”, con apparizioni anche ridicole. Le “varianti” create, mantenendo un registro epico/realistico, generano un intruglio pacchiano, aggravato da scene madri e da un disegno dei personaggi del tutto improbabile (di per sé, ma anche per l’inguaribile vezzo hollywoodiano di travasare i propri principi fondativi in qualsiasi latitudine, geografica o storica,). Il risultato è un film biblico che non rispetta l’iconografia biblica; un peplum che non è eccitante perché manca l’aggancio al valore del singolo contro tutti, nel momento in cui tutto il lavoro sporco lo fa questo dio; un fantasy che non è fantasy perché pretende realismo. Il coevo Noah di Aronofsky è più coraggioso. In 3D.