TRAMA
Cina. Deng è una vedova in pensione dal carattere caparbio. Dedica le sue giornate a prendersi cura della madre anziana e dei due figli, ormai grandi, noncurante degli sforzi che tutti fanno per alleggerirla dalle fatiche quotidiane. Questa routine inizia a vacillare quando Deng comincia a ricevere strane telefonate anonime, che si trasformano in vero e proprio fenomeno di stalking. Cosa sta succedendo? Chi potrebbe avere qualcosa contro di lei e perché?
RECENSIONI
Wang Xiaoshuai è uno dei nomi dei punta della cosiddetta Sesta Generazione, termine problematico che, in termini generali, indica quel gruppo di registi (fra cui Zhang Yuan, Lou Ye e Wu Wenguang) che negli anni Novanta diede vita al primo vero cinema indipendente nella storia del cinema cinese. Fu un momento di grande importanza culturale e politica: negli anni immediatamente successivi alla crisi democratica culminata nel massacro di piazza Tian’anmen, terminata la febbre illuminista che animò il paese durante gli anni Ottanta, un gruppo di giovani cineasti impugna la telecamera e in uno stato di semi-illegalità scende in strada per documentare ‘la Cina vera’. Non più eroi della propaganda, balletti rivoluzionari, addio-mie-concubine e lanterne rosse, ma gente comune (più spesso disagiati: prostitute, portatori di handicap, artisti, …) nel contesto della grande metropoli cinese (spesso Pechino) travolta da un processo iconoclastico di urbanizzazione selvaggia. Wang debutta in questo contesto con due opere decisamente interessanti – The Days (1993) e Frozen (1996) – con cui documenta lo stato di frustrazione di giovani intellettuali e artisti d’avanguardia all’interno di un clima di forte repressione politica e culturale. Verso la fine degli anni Novanta, però, così come gli altri suoi ‘colleghi’, rinuncia all’indipendenza produttiva che ha caratterizzato i suoi esordi e, rientrato nei ranghi, produce una serie di opere meno radicali e più accessibili, con cui guadagna riconoscimenti più ampi anche all’estero: Le biciclette di Pechino (2001), Shanghai Dreams (2005), Chongqing Blues (2010), 11 Flowers (2011). Il cinema di Wang Xiaoshuai, nel complesso, è dunque un cinema senza grandi cadute, ma neppure senza particolari punte; un cinema talvolta incolore e spesso innocuo. È quindi motivato il consenso generale che ha salutato l’anteprima mondiale di Red Amnesia, senza dubbio uno dei migliori film di Wang (se non proprio il migliore in termini di ritmo e compattezza), in concorso a Venezia 71 e, un po’ a sorpresa, uscito senza premi dalla competizione.
Red Amnesia è un film che combina due anime a cui, a loro volta, corrispondono due scopi narrativi interconnessi.
La prima anima, votata ad un realismo classico, si compone di pedinamenti zavattiniani e meticolosa osservazione contestuale. Pur non risultando particolarmente originale nel complesso, Wang porta comunque avanti una descrizione decisamente accurata del contesto sociale in cui si muove Deng, l’anziana protagonista, delineando in maniera convincente dettagli del quotidiano e strutture etico-sociali in mutamento. A questa impostazione stilistica corrisponde la volontà di esaminare i rapporti sociali – e in particolare quelli familiari, e filiali nello specifico – nella Cina che cambia, il disorientamento degli anziani, l’incomprensione delle nuove generazioni nei loro confronti. Deng si intromette nella vita dei figli – che non comprende – così come lo stalker si intromette nella vita di Deng – costringendola a comprendere.
La seconda anima, invece, connota il film verso il genere, il ‘mystery thriller’, se non proprio l’horror psicologico. È in questo frangente che il regista gioca l’elemento più intrigante e coinvolgente, dimostrando di saper padroneggiarne toni tesi e inquietanti con una certa dimestichezza. Questo secondo atteggiamento stilistico lavora per giustificare un secondo – e forse più urgente – scopo narrativo. Man mano che il giovane stalker rivela la sua connessione con il passato dell’anziana protagonista, il film ci parla distintamente del trauma, ancora non superato, della Rivoluzione Culturale – un decennio (1966-76) in cui il terrore dell’enfasi rivoluzionaria maoista toccò il suo apice, in cui intere generazioni di cinesi si macchiarono di delitti oggi innominabili (e prima di tutto morali), trasformando quegli anni in un’ecatombe politica, culturale e umana. Red Amnesia ci parla dunque delle ripercussioni psicologiche di quelle azioni sul presente e dei meccanismi di rimozione di quel passato all’interno della psiche collettiva. Personaggi innocui e insospettabili (come la protagonista del film) indelebilmente macchiati da piccoli e grandi crimini etici commessi nel passato, al punto tale che la figura di oggi e quella di ieri sono mutualmente irriconoscibili (e forse questo passaggio è esemplificato al meglio dall’anzianissima madre di Deng, chiusa in un ospizio e significativamente incapace di riconoscere la figlia). In questo senso, Deng vive in un mondo di fantasmi (quello del marito morto, quello del giovane stalker), che si fanno ora terribilmente vivi ora totalmente evanescenti, seguendo i ricorsi di un senso di colpa storico al tempo stesso collettivo e privato.
Quel che si può semmai rimproverare a Red Amnesia è uno sguardo forse mai abbastanza forte per riuscire a reinventare consuetudini stilistiche e narrative che attraversano tanto cinema cinese contemporaneo. In altre parole, fatta forse eccezione per l’elemento di genere, nulla appare veramente nuovo nel film, per quanto ben realizzato. La Rivoluzione Culturale come spettro da invocare, comprendere e esorcizzare è un’ossessione artistica comune nel contesto cinese (e certamente non solo in ambito cinematografico), affrontata già in molti modi e in molte forme, alcune decisamente più convenzionali, altre forse più sorprendenti di questa (ad esempio In the Heat of the Sun, folgorante esordio alla regia di Jiang Wen). A voler essere pignoli, poi, il tema della rimozione sistematica del passato di fronte ad un presente sempre troppo sfuggente trova già altrove espressioni autoriali più acute, raffinate e finemente struggenti nel cinema cinese d’oggi (parlo ovviamente del cinema di Jia Zhangke - ricordate Platform?). Fatte queste precisazioni, Red Amnesia è un film solido, ben costruito ed efficace, in grado di tenere vigile l’attenzione e rendersi intellegibile ad un pubblico vasto. Sperando che sia un nuovo inizio nella carriera di Wang Xiaoshuai.
