TRAMA
Russel, operaio in un’acciaieria, vive un’esistenza dimessa in un’opaca cittadina della Pennsylvania. Poco a poco gli inciampi del caso e l’irrequietezza di un fratello autodistruttivo finiranno per travolgerlo.
RECENSIONI
Il fuoco della vendetta racconta una storia dolorosa profondamente calata in un territorio degradato e proletario. Fin dall'inizio pervaso dal sentore pesante di un destino ineluttabile, il film inchioda tutti i suoi personaggi su una strada che non prevede via d'uscita, a dispetto dei buoni propositi e dei tentativi di uscire "Fuori dalla fornace" (il titolo originario, come sempre più opportuno di quello rozzamente ad effetto assegnato in Italia).
La fotografia di Masanobu Takayanagi e l'espressione del volto di Christian Bale restituiscono perfettamente l'atmosfera dell'opera.
Nucleo centrale è un rapporto simbiotico tra fratelli, connotati per contrasto - quello posato e quello arrabbiato col mondo, quello che combina guai e quello che li risolve, quello che si accontenta e quello che non ne vuole sapere - intorno al quale ruotano piccole esistenze misere ed arrangiate, l'universo dell'acciaieria e quello della criminalità locale in cui la violenza è necessità ma anche stile di vita e modo di essere.
Nonostante premesse non disprezzabili la pellicola propina quasi da subito una serie di luoghi comuni su perdenti, destino, contesti sociali violenti ed inciampi fatali che mozzano qualunque possibilità di autentico entusiasmo o coinvolgimento dello spettatore.
Il soggetto mette imprudentemente troppa carne al fuoco senza cuocerla. Quella dell'incidente e dell'esperienza in carcere è più una parentesi strumentale a rinforzare la sensazione di un destino avverso che una tappa il cui vissuto incide davvero sul protagonista. Il riferimento alla guerra in Iraq è rapido e corretto, già sentito anche nelle immagini più crude e nella rabbia del reduce. L'accenno a Obama in un ritaglio di telegiornale è abbandonato a se stesso tra una scena e l'altra.In una pellicola che vive in primo luogo dei propri caratteri proprio la loro costruzione e psicologia risulta debole. Lo stesso protagonista si rivela un personaggio di poco spessore e poco coerente, che subisce tutto, sembra aspirare a poco, ma all'improvviso persegue una vendetta fredda e determinata. Il fratello viene sintetizzato in un "è stato strano fin da piccolo, aveva qualcosa dentro" e in uno sfogo che banalizza la tragedia dei reduci di tutte le guerre.
Il poliziotto di Whitaker ("non facciamo fuoco e fiamme ma c'è del buono") è un'aggiunta insipida al film, utile solo al sontuoso elenco degli interpreti, così come un Dafoe depotenziato da un ruolo frustrante (Zoe Saldana quasi non esiste se non come donna perduta per colpa della sorte avversa). Il solo comprimario cui resta un po' di carisma è Woody Harrelson, reso però cliché della brutalità senza sfumature e senza perché.
Cooper riesce a costruire alcune scene di buona suspense e di dignitoso dramma, ma restano momenti isolati. La reazione misurata di Russel/Bale alla conferma della morte del fratello si dimentica in fretta davanti a clamorosi tonfi come la lettera di buoni propositi del fratello scritta proprio prima di morire, quasi un "d'ora in poi farò il bravo". Anche il parallelismo con la caccia al cervo durante l'incontro finale, insistito in modo esasperante ma vuoto di contenuto, rimane solo un modo per richiamare Il cacciatore.
Niente a che fare con l'equilibrio e l'efficace ritratto umano offerto dal regista nel suo precedente Crazy heart.
In tono Release dei Pearl Jam.