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TRAMA
Adattamento live action (dopo la trasposizione in anime) del popolarissimo manga di Yamazaki Mari che vede il protagonista Lucius Modestus, un architetto dell’Antica Roma progettista di bagni, risucchiato in viaggi spaziotemporali, fantastici e inspiegabili, di andata e ritorno, che lo portano nel Giappone moderno. Ammirato dalla tecnologia avanzata degli impianti igienici che trova, ne copia i sistemi più ingegnosi ricreandoli nella Roma antica.
RECENSIONI
Il meccanismo sembra ormai ripetersi nella cultura pop nipponica. Prima un manga di successo, da cui si ricava un anime, un film o una serie d’animazione, finché non arriva un regista che decide di realizzare anche un film live action. Non poteva non succedere anche per quest’opera di enorme successo, anche sull’onda della diffusione della cultura della Roma antica in Giappone come dimostrato dalla moda, da parte di tanti uomini politici, di fare citazioni erudite attingendo a i classici latini nei discorsi degli uomini politici. La derivazione del fumetto è denunciata nella figura della mangaka innamorata della cultura della Roma antica, chiara trasposizione di Yamazaki Mari, l’autrice reale del fumetto Thermae Romae. Che ispirandosi alla sua avventura, catapultata tra gladiatori e centurioni, concepirà un manga, palesemente lo stesso Thermae Romae, che cercherà di piazzare a editori vari. Il regista Takeuchi Hideki chiude così il cerchio manga-anime-film.
Thermae Romae è un film che funziona in una dimensione fluida, umida, bagnata, scivolosa, vaporosa, immerso in un mezzo liquido. Una viscosità che permette i più arditi viaggi dimensionali, gli scivolamenti verso altre ere e civiltà. E anche il senso dell’abluzione, della purificazione nell’acqua, dell’igiene e della pulizia corporei (la doccia sarà una delle invenzioni da trasferire a Roma appositamente per l’Imperatore).
Va riconosciuto a Takeuchi di saper preservare tutti gli ingredienti di successo del fumetto, che funziona sul confronto, ma anche sulle curiose analogie, di due civiltà così lontane nello spazio e nel tempo due civiltà avanzate e a modo loro perfette: la comune cultura del bagno pubblico, terme e onsen, i bagni termali nipponici («Roma ama i bagni come nessun paese al mondo» esclama un civis Romanus), e poi il Vesuvio e il Monte Fuji. E di saper giocare con il grottesco sulla sospensione dell’incredulità. Ma anche di introdurre elementi inediti, in primo luogo la figura del tenore che accompagna con le sue liriche i viaggi di Lucius. In un film che palpita di opera lirica, ironicamente pomposa, con le arie del Rigoletto della Turandot e molte altre. Un film che è al tempo stesso parodia dei film sui viaggi nel tempo e dei peplum, con l’enorme dispiego di scenografie, anche negli studios di Cinecittà, e l’esercito di comparse. Se nei film hollywoodiani classici si ricorreva ad attori britannici, con il loro raffinato eloquio, per rappresentare gli antichi romani da contrapporre a barbari o schiavi interpretati da attori americani, qui si impiegano attori giapponesi con lineamenti più occidentali a cominciare da Abe Hiroshi, che pure viene scambiato per il personaggio di Kenshiro (di Ken il guerriero). E con la sospensione dell’incredulità i romani parlano giapponese, ma si arriva anche al grottesco della didascalia in sovrimpressione che avvisa del dialogo bilingue.
Il primo caso di censura in Giappone risale al 1908 e riguarda un film francese su Luigi XVI. E questo per l’intoccabilità assoluta, l’irrapresentabilità della figura dell’Imperatore del Giappone, anche per estensione con altri monarchi assoluti della storia. Sono passati più di cent’anni e il film Thermae Romae dimostra come ora al cinema le cose siano cambiate: si può mettere in scena ben l’Imperatore Adriano che regnò nel II secolo d.C. anche tra il serio e il faceto, dipingendolo come tiranno ma con una connotazione buffa. Ma non si può fare un legame con l’Imperatore del Sol levante in un film che si gioca brillantemente sui numerosi fili conduttori tra l’Antica Roma e il Giappone moderno. Ancora oggi per i giapponesi la figura dell’Imperatore è un’assenza, un culto e un tabù. Ma in tutto questo film Takeuchi Hideki gioca a rimpiattino con tanti tabù del paese asiatico. I tabù sessuali prima di tutto. Se uno dei richiami del film è l’esibizione delle grazie del protagonista Abe Hiroshi, consacrato così a sex symbol, spessissimo mostrato in nudo integrale ma con provvidenziali, e ridicoli, ostacoli a coprire giusto l’inguine, o con dei perizomini attillati. La rappresentazione dei genitali è un divieto pari a quello dell’Imperatore, cosa che rappresenta un paradosso in una società dove minimo è invece il pudore dell’esibirsi a corpo nudo, come può succedere proprio nei bagni termali. Un paradosso rappresentato in una scena del film Totoro, dove si vede la famiglia fare il bagno insieme, con la testa del bambino che copre l’inguine del padre: il pudore non c’è tra i personaggi ma è massimo invece nei confronti dello spettatore. Takeuchi sembra condurre il film in una sorta di ricerca del pene perduto, nel giocarsi sul filo del rasoio nell’arrivare sempre appena al centimetro consentito. Ma ironicamente un fallo gigante è esibito come rappresentazione nel Kanamara Matsuri, la festa del pene di ferro, rito di fertilità in cui, guarda caso, capita Lucius.
Un film concepito come puro divertimento ma che tocca tutta una serie di temi, oltre a quelli sopracitati. La violenza latente nei periodi di pace, come quello di quel periodo dell’Antica Roma e del Giappone moderno; la decadenza di una civiltà che annega negli intrighi del potere, il confronto di culture, il Giappone visto da occhi esterni, unici in grado di coglierne certe bizzarrie come quelle igieniste: sono proprio pazzi questi giapponesi!