TRAMA
Principato di Monaco, anni ’60. Sullo sfondo della disputa tra il Principe Ranieri e il presidente francese Charles De Gaulle, prossimo ad un’invasione del principato, la stella di Hollywood Grace Kelly, diventata Principessa nel 1956, si trova a dover affrontare una profonda crisi coniugale e di identità.
RECENSIONI
Succede sempre così, leggi da qualche parte la notizia che hanno intenzione di trasporre la vita di Grace Patricia Kelly in Ranieri, ti dici che “no dai, non è possibile”, e una bella mattina, nella piazza sotto casa trovi un cartellone con l'uscita imminente di Nicole Kidman in Grace di Monaco. Eppure a queste dimostrazioni d'intelligenza dovremmo essere oramai vaccinati. Per dire, ricordate quando nel '96 dicevamo in coro che Chirac avrebbe sicuramente ritirato l'ok al test nucleare sull'atollo di Muroroa, e poi fu Enola Gay? (anche se però ora sappiamo che era per uccidere Godzilla, quindi scusaci Chirac; anzi, grazie Chirac). Ecco, in Grace invece hanno deciso di riesumare la diva più noiosa della storia. Colpa molto più grave di una ricaduta radioattiva. Sia per quelli che la bellezza della Kelly è talmente oltre da essere irriproducibile, sia per l'associazione Luigi Cosconi, stranamente silenziosa di fronte a tale abominio. Comunque lo si prenda (partendo da Hitchcock o dalla borsa di Hermès), il mito Kelly è abbastanza stucchevole. Prima modella, poi attrice, infine principessa. Un premio Oscar, un matrimonio da favola, un dirupo, icona. Mai un passo falso, mai un capello fuori posto, mai così tanti pettegolezzi su una personalità in realtà calcolatrice e (forse) sessualmente vorace. E mai uno scandalo però. Cosa poteva mai inventarsi Olivier Dahan per raccontarcela evitando tutto questo? S'inventa il momento in cui insoddisfatta, annoiata, in crisi d'identità, e dilaniata tra l'accettare Marnie (cult la scena in cui Nicole prova allo specchio il “se mi tocchi, morirò!” a Sean Connery), e un Principato in crisi diplomatica con lo stato francese per essere sostanzialmente un paradiso fiscale, decide di rendersi utile (basta coi ceffoni presi e non ridati; o non è vero che sono una che ha mollato Hollywood – e Cary Grant, tra gli altri - per andare a vivere con un principe che dimostra il doppio dei miei anni).
E vorresti credere che ci fossero state riunioni last minute tra executive, production design e attori tutti per scongiurare trappole patinate tipo Dalida con la Ferilli; vorresti credere che nello studio di Olivier fossero stati appesi cartelli con scritto “evitare effetto Losito”, o le grandi storie della Domenica del Corriere; vorresti credere che il recente Diana fosse stato il fatidico fondo da cui risalire, o che Nicole Kidman – nonostante fosse l'unica a poterla interpretare, tra l'altro miracolosamente espressiva – a un certo punto della preproduzione si fosse alzata dicendo “chiamate Tina Cipollari.” E probabilmente è andata così, nel mondo al contrario che sta dentro il buco nero vicino ad Alfa Centauri. A noi invece è toccato proprio il feuilleton. O la “Rivincita delle bionde”, ma con le pareti piene di arazzi al posto del Pantone rosa; e invece della laurea a Harvard, insegnanti privati. Con il tipico canovaccio in cui dopo anni da sfigata la protagonista decide di prendersi una rivincita, poiché “non voglio essere certo un fallimento”, sebbene “quando sono arrivata nessuno mi ha dato un libretto d'istruzioni”, Grace s'affida alle lezioni di francese, portamento ed etichetta del conte Fernando D'Aillieres, descritto come un “flamboyant aristocrat” (altri tempi, altri elefanti nella stanza). Saranno settimane dure, narrate con lo stesso montaggio sincopato di altre fasi pupa del cinema, tipo Cher che in Stregata dalla Luna passa da estetista, parrucchiere, massaggiatrice, boutique del centro prima di andare all'opera con Nicolas Cage. Il conte alla fine la promuove, e la prima cosa che fa, ora che è finalmente attrezzata, è irrompere al comitato delle dame della Croce Rossa (le stesse che l'avevano trattata con sufficienza, pretty woman, anyone?), e con uno speech in stile “è una regola fondamentale della permanente evitare di bagnare i capelli entro le prime ventiquattro, altrimenti l'ammoniaca si disattiva”, diventa promotrice unica del famoso ballo della Croce Rossa di Monaco, quello dove salverà il Principato.
Nicole se la cava bene. Con tutte le tare del caso, se di un carattere così stereotipato i capelli sono come dovrebbero essere se volessimo interpretare Grace Kelly, molto del lavoro è già stato fatto. Quello che non c'è, è un'ipotesi di vicenda vagamente interessante. 'Pointless glamour and pure fiction', hanno detto a mezzo stampa i Grimaldi dopo aver letto la sceneggiatura (e chissà che urla vedendo il trailer); e come dargli torto: nel caso De Gaulle conquistasse Monaco, la soluzione di Grace sarebbe quella di ritirarsi in una piccola fattoria in campagna 'io, te e le caprette che fanno ciao'; sul corteggiamento di Hitchcock circa Marnie: 'Una ladra compulsiva e frigida', dice lei a proposito del soggetto, 'un grande ruolo', sottolinea, 'sì ma tuo marito non te lo permetterà.' Roba che non s'era mai sentita, insomma. La verità è che nessuno ne sa abbastanza, di cosa frullasse in quella testolina dalle proporzioni auree. Ma tutti sanno quanto elegante fosse, e puntuale come il Natale ogni anno arriva una mostra a ricordarcelo. E dunque il glamour è davvero così pointless come dicono i reali? Alla conferenza stampa di Cannes, Nicole ha detto che girare in Riviera è stato molto utile per l'atmosfera. Ma non eri in Riviera, Nicole. Eri al Centro Palatino sul set di Non è la Rai. In tutto il film ci sono questi momenti di sospensione in cui si guarda verso l'esterno, verso finestre che danno su terrazze con balaustre, che a loro volta danno su tavole blu. Cioè la stessa scenografia di Boncompagni, lo stesso mare, lo stesso trompe-l'oeil dozzinale, la stessa voglia di risentire Please don't go dei Double You. Please Grace, don't go back to Hollywood. Poi c'è questo problema del miscast ormai endemico a ogni latitudine. Volete includere la Callas? Consultatevi con delle drag queen. Vuoi un Ranieri che regga la grazia della Kidman? Non spendere tutto il budget in balaustre, ché poi ti ritrovi a chiamare Tim Roth. O per l'uso meta degli sfondi proiettati nella corsa giù per i tornanti del Principato, con lei infuriatissima che inchioda in curva e, ahimé, non urla 'Ègoïste! Ègoïste! Ègoïste!'. (Sì, Olivier, voleva essere un omaggio a una tecnica che non esiste più, ma le scatole cinesi di Anna Karenina di Joe Wright erano un'altra cosa; per non parlare delle Converse in Maria Antonietta della Coppola). Poiché l'estetica è quella miracolosa di uno spot per profumi. Quelli però durano cinquanta secondi, mentre qui l'agiografia si compie solo alla fine, quando la voce narrante intona: '[...] Tu sei la favola, la serenità a cui tutti aspiriamo. [...] Madre devota, moglie fedele, leader caritatevole... '. Lentamente scorrono le immagini di lei che si strucca come Glenn Close nelle Relazioni pericolose, di lei che carteggia alla scrivania, in sottofondo un commento musicale simile a quello che accompagna Cate Blanchett quando ricoperta di biacca diventa Virgin Queen. Grace ha avuto tre figli, si sa, ma la chiosa sembra suggerire una completa rivergination. Se solo ne avesse brandizzato l'essenza in boccette da 30ml.