TRAMA
Malefica è una fata della brughiera che trova l’amicizia e l’amore in un umano. Quando viene ingannata e tradita si offende, ma solo un po’.
RECENSIONI
Vista l’aria che tira ad Hollywood, e vista la promozione che aveva preceduto l’uscita del film, ci si poteva aspettare un’operazione sullo stile di Biancaneve e il cacciatore. Una goticizzazione ed una modernizzazione della favola come l’avevamo conosciuta, proposta più agli adolescenti ed agli adulti compiacenti che ai bambini. Le indiscrezioni e le prime immagini della Jolie tutta zigomi, corni e vesti nerissime annunciavano una Malefica ancora più terrificante ed implacabile perché l’origine del suo odio viene finalmente svelata. Ma questa aspettativa non teneva conto del fatto che Maleficent è Disney alla massima potenza. Ed ecco allora una favola di buoni sentimenti difficilmente digeribile dopo i 10 anni. La favola de La bella addormentata nel bosco è completamente stravolta, anche nella struttura fondante. Tanto per cominciare, qui il cattivo è il padre di Aurora. Malefica la protagonista, la vittima, la figura capace di riscattarsi. Di re Stefano è infatti il suggestivo castello Ludwighiano, non di Malefica, che preferisce invece abitare la brughiera in armonia bucolica con la natura. E la storia d'amore è quella tra Malefica ed Aurora, una storia d'amore materno portata alle estreme conseguenze (la scena rivisitata del bacio, francamente ridicola, ma anche il finale...). Dopo un prologo che mostra la natura perversa degli esseri umani ed il più infame tradimento della fiducia della protagonista, la "terribile" Malefica ci rimane un po' male. E si dimostra cattiva per circa 2 minuti nell'arco di tutto il film, il tempo di infliggere ad Aurora la celebre maledizione, che tra l'altro alle prime preghiere si affretta a mitigare. Re Stefano invece, chissà perché, prima ancora della maledizione mostra molto rancore nei confronti della persona che lui ha ingannato per avidità. Ed è una figura poco coerente, che impazzisce per la sorte toccata alla figlia, ma appare affettivamente indifferente nei suoi confronti, ossessionato, lui sì, da Malefica, contro cui avrebbe poco da recriminare.
Il personaggio di Aurora non è pervenuto in sceneggiatura: tradizionalmente era passiva, ma aveva la valida scusa di dormire quasi tutto il tempo. Qui è quasi sempre sveglia, ma si limita ad affezionarsi moltissimo a Malefica fin dal primo incontro. Chi era stufo dell'ostentato processo di emancipazione delle eroine delle fiabe (si ricorda ancora con qualche brivido la Biancaneve armata di Biancaneve e il cacciatore) qui può stare tranquillo. Le tre fate madrine hanno un ruolo tutto sommato marginale, nonostante le interpreti siano del calibro di Imelda Staunton e Lesley Manville (una sola domanda: perché?): pasticcione (Aurora terminerebbe precocemente i suoi giorni in fondo ad un burrone se non la soccorresse proprio Malefica) e litigiose ma decisamente poco divertenti. Al fidato corvo della strega vengono invece assegnate fattezze umane, facendone un bonario compagno dal cuore tenero, che elargisce sguardi affettuosi alla bambina mentre Malefica occupa le sue giornate spiandola e vegliando su di lei. Eccepibile quindi il lato brillante (mentre non manca il ridicolo involontario), di poco superiore quello dell’azione. Venuto meno il principe innamorato, lo scontro finale chiama in causa Malefica ed il re, nella forma fiacca di un’aggressione unilaterale. Qualche bella scena fantasy guerresca, ma con poca anima.
A differenza di qualunque logica aspettativa Malefica - la più terribile delle streghe della tradizione Disney, vera icona - è il personaggio meno temibile che si possa ricordare in una favola, vecchia o nuova che sia, ed è proprio questa mancanza di carisma, nonostante la Jolie dal perfetto physique du role, una delle maggiori debolezze della pellicola, che si somma a spinte motivazionali insufficienti nei personaggi chiave. La bella addormentata nel bosco era anche la più romantica fra le favole Disney, difficile quindi accettare il maltrattamento (o meglio l’azzeramento) dell’amore tra Aurora e Filippo, vero motore degli eventi. La morale (visto che vogliono mettercela) non è, come ci si poteva aspettare, che all’origine della perfidia risiede un dolore o un torto subito, bensì che neppure un torto subito necessariamente distrugge la capacità di amare di una persona. E l’amore è meglio della vendetta. Buono per i bambini, ma, in questa forma per nulla problematica, stimolante quanto il messaggio contenuto in un cioccolatino. La scenografia è sontuosa, ma quasi mai utile a creare un’atmosfera funzionale alla narrazione, solo di rado simbolicamente efficace. Eliminate le famose canzoni del cartoon del 1959 (Once upon a dream è relegata ai titoli di coda). Eppure, quel film era decisamente meno puerile e più coraggioso di questo, oltre che scritto e girato meglio, naturalmente. Difficile non rimpiangere la potenza coerente dell'odio che faceva recitare a Malefica "Per la prima volta dopo 16 anni dormirò bene".
Shrek insegna: i temibili antagonisti delle fiabe possono essere riletti come eroi. Per replicare il successo di Alice in Wonderland di Tim Burton, la Disney stanzia 200 milioni di dollari, ne promuove alla regia lo scenografo e reingaggia la sceneggiatrice Linda Woolverton che, autrice di Il Re Leone e La Bella e la Bestia, reitera il tema dell’armonia di cuore che trasforma la fiera. L’inventivo ed intrigante racconto è “per famiglie” fino ad un certo punto: stanco di patinate principesse pie, il pubblico s’è identificato in una protagonista incarognita dalla vita ma, di base, buona. La produzione ne approfitta per far felicemente convivere, nel décor, mondi incantati e oscurità partorita dai malvagi. Robert Stromberg ha vinto il premio Oscar per la sua visione “scenografica” di Avatar e re-immagina un mondo coloratissimo, “dipinto” a tal punto da sconfinare nel film d’animazione. Mago degli effetti di questo tipo da tempo, collaboratore fisso di James Mangold e Martin Scorsese, ha un modo tutto suo di creare ammalianti décor da paintshop (ma sono state necessarie riprese aggiuntive di John Lee Hancock). L’altra carta vincente del film è Angelina Jolie, che ha optato per un look che la mantenesse “malefica” e richiamasse l’originale di La Bella Addormentata nel Bosco (la tunica nera, le corna che riprendono il copricapo e, in originale, la voce spaventosa): una sorta di remake visto dalla parte del villain, con una sezione centrale che replica quasi fedelmente l’originale (il battesimo, la festa, il maleficio, le tre fatine, la casa nel bosco), per poi discostarsi completamente e concentrarsi su di una figura che, magia degli sguardi dell’attrice, abbraccia male e bene lungo il percorso, per sentori insieme divertenti ed inquietanti (emblematiche le scene di Malefica nei primi approcci con il bebè che considera mostruoso).