TRAMA
Il barone Henry Frankenstein, chiuso in una torre, fa esperimenti per dare vita ad un essere composto di parti di cadavere. La sua fidanzata ed un professore, preoccupati, insistono per vederlo.
RECENSIONI
Il mostro che ha generato mostri: un capolavoro horror imprescindibile, che ha fondato al cinema il gotico con “creatura” e resta il migliore adattamento per immagini del romanzo di Mary Shelley. Più stratificato, affascinante, poetico, raffinato e cupo di tutti i rifacimenti e/o imitazioni a seguire. Apologo sul senso della scienza, sull’autodistruttiva ossessione umana che anela all’ignoto e all’immortalità, sul partorito (la “scoperta”) che si rivolta contro il creatore (“Ora so come ci si sente ad essere Dio!”, dice Frankenstein) con effetti devastanti incolpevoli (la brutalità del mostro è figlia di un istinto animale, di un agire che non conosce le proprie conseguenze, della violenza sulla Natura). Se i mostri, quindi, nel racconto sono due, presto la creatura di Frankenstein diventa il parafulmine del lato oscuro dello scienziato, da sopprimere davanti agli occhi altrui per essere socialmente accettati. Sotto la superficie della maschera (l’intrattenimento spettacolare), le suggestioni allegoriche si allargano, anche perché fondate su di un sottile e aperto gioco di contraddizioni. Opera audace, macabra (anche divertente: la scontrosità del padre del barone), eterna in quanto priva di frenanti schemi moralistici e tematici (infatti il codice Hays, successivamente, la censurò: fu “ricomposta” solo nel 1986), figurativamente memorabile (il cimitero all’inizio, il laboratorio, la torre imponente), magistrale nella cura del dettaglio, dei movimenti di camera, della composizione pittorica (debitrice dell’espressionismo tedesco), nel pathos di certe sequenze: quella, straziante, con la bambina, in cui trapela l’ambivalenza della creatura fra tenerezza e mostruosità o quella con le dilanianti urla del mostro nel rogo finale al mulino. Nonostante il suo nome non compaia nemmeno nei titoli di testa (che, ironicamente, riportano un punto interrogativo), il film fece di Boris Karloff una star e della maschera opera del trucco di Jack Pierce, l’unica possibile.