Western

LA LANCIA CHE UCCIDE

Titolo OriginaleBroken lance
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1954
Genere
Durata96'

TRAMA

Joe, meticcio indiano appena uscito di prigione, ricorda quando era il prediletto del severo e ricco padre che affidava a lui le sue mandrie, fidandosi poco degli altri figli bianchi. Diede a lui anche il compito di “sistemare” il proprietario di una miniera.

RECENSIONI

Amaro Destino (1949) di Joseph Leo Mankiewicz in chiave western, ovvero un’altra variazione sul Re Lear, fra parricidio, fratricidio, vendetta e odio (simboleggiato dalla lancia indiana). Se è prezioso il lavoro dello sceneggiatore di Elia Kazan, Richard Murphy, e determinante l’utilizzo del cinemascope, che chiama un largo uso di esterni, l’apporto più memorabile è quello di Spencer Tracy nel ruolo di Matt Deveraux, un self-made-man irlandese testardo, severo con l’immaturità dei figli, emblema ideale del mito del Selvaggio West che, infatti, perde terreno nel momento in cui lo scettro della Legge passa alle istituzioni. È curioso che Edward Dmytryk, ex (?) comunista che si è trovato costretto (?) a rinnegare i propri ideali per continuare a lavorare a Hollywood, faccia scorrere nell’opera una non trascurabile vena conservatrice, nostalgica dei modi rudi degli uomini veri, quando i “padri” affrontavano problemi e ingiustizie in prima persona: la figura di Matt Deveraux, per quanto palesemente non (del tutto) positiva, non è contestata, a differenza di quelle dei suoi figli bianchi che, per quanto traditrici, avrebbero più di un’attenuante da vittime di trascuratezza affettiva. Tutto il cinema anni cinquanta di Dmytryk, in realtà, era segnato dal tema della colpa e del riscatto, in una sorta di incoerente mea culpa dove cercava di portare avanti anche una sorta di “vendetta” personale: la scelta “reazionaria”, quindi, sposa in realtà il punto di vista sospettoso delle vie legali, dello Stato delegato dove si possono sempre annidare sotterfugi e serpi corrotte (quelle che gli hanno richiesto la pubblica ammenda). Per una volta, lo spettatore è portato a stare dalla parte non del buono in assoluto, ma del forte e della Forza (anche bruta). Anche le figure femminili hanno un’insolita connotazione tenace, volitiva: vedi la madre indiana o il personaggio di Jean Peters che tiene testa (mangiando un peperoncino) all’autoritario patriarca. Dopo il lungo flashback con cui parte il film, dove s’inserisce anche il tema della discriminazione razziale, chiude l’opera una curiosa impronta mistica che si rifà alla mitologia indiana, reincarnando Matt Deveraux nello stesso lupo che l’uomo aveva salvato anni prima.