TRAMA
Fatto di cronaca, 1961: il quattordicenne Graham Young è affascinato dai veleni e mortificato dalla propria famiglia. Li usa contro quest’ultima.
RECENSIONI
C'è una linea sottile fra l'amore e l'odio. Il diamante agognato (sognato continuamente da Graham) può trasformarsi in veleno, il genio benefattore in un'incontenibile furia distruttrice. La chimica è trasformazione, ma in Graham alcuni elementi nefasti sono diventati uno zoccolo duro. Le linee sottili e i sensi di colpa non albergano più in lui, la psiche non è devastata dai propri peccati: per mostrarci questa assenza, l'esordiente Benjamin Ross sceglie l'insidiosa via della soggettiva, dove l'empatia catartica (verso il Bene, la sanità mentale dello spettatore che tocca con mano la follia) si confonde con lo sgradevole compiacimento, da ascrivere in una moda che fa l'elegia dei serial killers, li osserva "dal di dentro" con gusto morboso, senza disdegnare la chiave grottesca per esorcizzare l'orrore (o ingigantirlo in modo effettistico). Si potrebbe parlare di poesia macabra alla Kissed, di sarcasmo ipertrofico alla Assassini Nati, di fascinazione diabolica da Il Silenzio degli Innocenti o, più semplicemente, di tipico cinema inglese che abbina all'argomento-shock l'infanzia malata. Ross vuole suggerire che la mostruosità è forgiata negli ambienti piccolo-borghesi ed ipocritamente perbenisti, suona note allegre per fecondare la simpatia verso il protagonista, colpevole solo di sognare ad occhi aperti (gli occhi sbarrati di Hugh O'Conor sono uno spettacolo) il giorno in cui controllerà la propria infelice esistenza attraverso gli “elementi" che decidono la vita o la morte. Ma il regista non possiede una statura morale (che vada oltre la morale comune) o una poetica tanto personale da vedersi concesso il passe-partout da "film maledetto" o autorale. Rischia il cattivo gusto quando beffeggia il dolore con il grandangolo e la risata strozzata, la banalità cromatica e stilistica quando cerca gli eccessi, ma non perde il controllo di uno script che atterra in un affascinante territorio d'ambigua complessità, nel momento in cui entra in scena la psichiatria e avviene il salubre distacco dello spettatore e della cinepresa dallo sguardo dello psicopatico. Graham prende coscienza della propria umana debolezza grazie ad una guida che, al contempo, stigmatizza il comportamento anormale e sancisce la sua natura irrecuperabile in una società crudele. Nei meandri di una mente dipendente dai propri fantasmi, il diamante, per essere mostrato al mondo intero, chiama la carneficina.
