TRAMA
Duncan è in vacanza al mare insieme alla madre neodivorziata e al suo nuovo compagno. Tra il ragazzo e il patrigno l’ostilità è dichiarata, così il ragazzo cerca rifugio in un lavoro al vicino parco divertimenti acquatico, dove stringe amicizia con il vulcanico inserviente Owen.
RECENSIONI
Già capaci di appannare d'un velo di grigiore le soleggiate Hawaii come sceneggiatori (premio Oscar) del non eccelso Paradiso amaro, Nat Faxon e Jim Rash per il loro debutto come registi cinematografici tornano al lato oscuro dei luoghi di villeggiatura, colmando di nostalgia e languore le vacanze estive dell'adolescente Duncan. Il titolo originale, The Way Way Back, allude al sedile “ancora più posteriore” della lunga station wagon dove il ragazzo è confinato per tutta la durata del viaggio, guardando in direzione significativamente opposta rispetto al resto della famiglia; un nucleo di recente formazione e di scarsa stabilità, dove il quattordicenne protagonista pare essere l'unico a farsi domande e ad affliggersi per l'andazzo delle cose. Il punto di vista cui i due registi/sceneggiatori/produttori/interpreti aderiscono, infatti, è solo il suo: Duncan è, a conti fatti, l'unico personaggio realmente sostenuto dalla scrittura e l'unico di cui ci sia concesso comprendere il tormento, le emozioni e le motivazioni. Nel tentativo, anche piuttosto riuscito, di dare voce e sostanza a una fase complessa e burrascosa dell'adolescenza, Faxon & Rash sembrano mollare la presa su tutti gli altri personaggi: così risulta difficile credere ai pur bravi Toni Collette e Steve Carell (qui riuniti dopo Little Miss Sunshine in un'altra commedia amarognola e indipendente), rispettivamente nei panni di una donna divorziata e fragile fino all'irragionevolezza e di un nuovo compagno epidermicamente detestabile e altrettanto irragionevolmente accanito contro il figlioletto di lei. Al gruppo dei grandi va aggiunta la sempre ottima Allison Janney, altra habitué dell'indie comedy, qui alle prese con un ruolo di madre irresponsabile molto simile a quello di American Life (da cui ritorna anche Maya Rudolph in una piccola parte).
Poco importa di questi adulti infantili e vacui (allegramente dediti a bevute e spinelli in spiaggia) ai due autori, che preferiscono rifugiarsi come Duncan nell'universo parallelo del parco divertimenti acquatico, dove infatti si ritagliano due piccoli ruoli da inservienti che sembrano trascinare all'interno della struttura del film un sentore da sitcom televisiva che è il loro campo di appartenenza principale: le gag reiterate del guardone Roddy (Faxon) e del malinconico Lewis (Rash), figure apparentemente immutabili e inamovibili dal proprio habitat, sono salvagenti comici e un po' surreali che rimandano alle carriere sul piccolo schermo di entrambi (Faxon è coprotagonista di Ben & Kate, Rash è il preside Pelton di Community). Su tutti domina però un Sam Rockwell a briglia sciolta nei panni di Owen: irresistibile snocciolatore di battute prontissime, seduttore sorridente, generoso con amici e colleghi, mentore non paternalistico, agli occhi di Duncan (e, di conseguenza, dei nostri) è una via di mezzo fra Mary Poppins e Yoda, solo un po' più sboccato e cool. Amico/figura paterna troppo perfetta per essere vera, piena com'è di citazioni sbucate dagli anni 80 (l'ispirazione Eighties attraversa tutto il film, che proprio in quel decennio doveva essere ambientato prima che le ragioni del budget decidessero altrimenti) e di trovate capaci di risvegliare il giovane protagonista dal suo stato lievemente autistico tipico dell'entrata nella pubertà, Rockwell gigioneggia a spron battente, ma riesce quanto meno ad alzare ritmo e temperatura di una commedia (poco) agra dalla bassa pressione. Tra uno scivolo acquatico, una sfida di breakdance e l'ovvia scoperta che il patrigno è davvero un bastardo, il percorso di formazione del giovane Duncan procede su binari risaputi, ma con l'andamento piano e talvolta mesto di un'estate che, come la sua infanzia, sta giungendo al crepuscolo. Niente di nuovo sotto il sole (sempre un po' rannuvolato) di una commedia piccola e compatta, in piena zona Sundance (dove il film è stato presentato), che cerca nel sottofinale posticcio una spettacolare catarsi “asso pigliatutto” sulla falsariga di Little Miss Sunshine (qui la folle esibizione di danza è rimpiazzata da un'improbabile evoluzione sugli scivoli del parco). Meglio le ultime inquadrature, adeguatamente sottotono, dove il finale né aperto né lieto pare tornare a sintonizzarsi sulle frequenze quietamente disperate del suo protagonista.