TRAMA
Una poliziotta, sulle tracce di un serial killer a Firenze, è colta dalla Sindrome di Stendhal: i dipinti la confondono, facendole cambiare la personalità. L’assassino, intanto, le sta addosso, dichiarandole il suo amore.
RECENSIONI
Il nuovo tema ad effetto escogitato da Argento, la Sindrome di Stendhal, prende il suo nome dallo scrittore che, per primo, testimoniò nei suoi diari questo disturbo: in nuce, il soggetto sarebbe ideale per disquisire di sensibilità più acute e del potere dell’influsso dell’Arte, giocando con i piani di realtà ed illusione, abbracciando stilemi allucinati. La prima parte, in questo senso, fa ben sperare: anche l’apparente gratuità del dettaglio di una pillola che scende lungo l’esofago e l’insert sognato di un bacio d’ossigeno con un pesce potrebbero appartenere ad un (sibillino) piano per trasportare lo spettatore in un’altra dimensione, angosciante e terrificante. Ma, al posto di un crescendo di sorprese spaventose, il regista sceglie un altro tipo di orrore, quello di dialoghi inascoltabili e dizione pessima degli interpreti, con recitazioni indifendibili (si salva solo Paolo Bonacelli) ancor più in evidenza nel piano giocato su atmosfere, silenzi e movimenti esibiti di macchina (l’ultima zona salva del talento argentiano). Per non parlare dei mediocri disegni psicologici, delle traiettorie di un racconto che abita il solito serial killer-movie in thriller psicanalitico con scambi di personalità. La messinscena è disarmante, dilettantesca (esempio: per puro caso, ovunque il personaggio di Asia Argento si trovi, ci sono quadri appesi) e giunge ad un colpo di scena finale del tutto risibile. Argento, cioè, si ostina a propinare storie eccessive e colme di ingredienti surreal-improbabili con i modi del cinema realistico, mentre le tracce più “terrene” e quotidiane le espone in modi del tutto grossolani. L’amnesia di tempi migliori (fa male pensare a Profondo Rosso ed al suo corridoio colmo di quadri angoscianti) e l’autolesionismo appartengono più al regista che al ridicolo personaggio della figlia Asia: anziché sprecare denaro nell’effetto di morphing (per liquefare, ad esempio, “La ronda di notte” di Rembrandt), Argento avrebbe fatto meglio a fornirle una parrucca bionda meno posticcia, per non confondere la sua “metamorfosi” con la sindrome del travestito, ricordando (involontariamente) Vestito per Uccidere. Prima, malaugurata volta di una troupe agli Uffizi ma, se non altro, Argento rende loro giustizia con il cinema di sole immagini dell’inizio (con preziosismi come il riflesso dell’assassino su di un proiettile al ralenti). Morricone si spreca poco.