TRAMA
Steve Malone, addetto alla protezione dell’ambiente, si trasferisce con la famiglia in una base militare, dove dei bacilli provenienti dallo spazio sono penetrati nei corpi umani per pilotarli.
RECENSIONI
Sui titoli di testa, il nero inghiotte le lettere di “Body snatchers”: la terza opera tratta dal racconto di Jack Finney, dopo quelle di Don Siegel (Invasione degli Ultracorpi, 1956, in assoluto la migliore) e Philip Kaufman (Terrore dallo Spazio Profondo, 1978), è un’inversione di tendenza nel cinema di Ferrara, lontano dai prediletti ambienti metropolitani e dai percorsi di espiazione di matrice cattolica. Ma sarebbe stato più sorprendente se non avesse mai girato, prima o poi, un puro horror, genere che permea praticamente tutte le sue pellicole: gli fanno da padrini dei maestri come Larry Cohen (co-soggettista) e i lovecraftiani Dennis Paoli e Stuart Gordon (alla sceneggiatura). La prima parte annega nei luoghi comuni e negli espedienti commerciali d’identificazione per il pubblico giovanile: ne è protagonista la ragazzina acerba con la sua lotta per la libertà dai “grandi” e l’incontro con il “bello” di turno. Il disegno dei caratteri è un po’ grossolano, la messinscena, più che di suspense, è frettolosa, salvo perdere tempo in quisquilie. In seguito, Ferrara e il sodale (altro) sceneggiatore Nicholas St. John prendono possesso del corpo filmico, dipanando meglio le allegorie con cui sostituire quella della guerra fredda e del maccartismo della pellicola di Don Siegel: ecco, allora, il pericolo delle guerre chimico/biologiche, dell’omologazione sociale (grande la sequenza dei disegni dei bambini, tutti uguali), nell’esercito come nella famiglia (Ferrara ama rappresentare quest’ultima nelle sue vesti deleterie); ecco il tema della vittoria della nuova generazione su padri soffocanti o insensibili, dell’amore sulla disumanità, vista come assenza di emozioni. La tecnica del regista si affina e, fra ottima tensione e preziosismi, assorbe la pellicola, ascrivendola a pieno titolo nella propria poetica.
