Drammatico

ORDET

Titolo OriginaleOrdet
NazioneDanimarca
Anno Produzione1954
Durata119'

TRAMA

Il terzogenito dell’anziano Morten s’innamora della figlia del sarto, di fede diversa: impossibile il matrimonio. Il secondogenito (Johannes), invece, è in preda ad una crisi mistica e si crede Cristo.

RECENSIONI

Dopo un lungo silenzio (dieci anni dall’ultimo lungo di fiction), ecco “la parola, il verbo” di Dreyer, sempre meno sperimentale nel linguaggio figurativo, più alla ricerca dell’essenza spirituale-teatrale dell’immagine: l’opera è tratta da una commedia del pastore Kaj Munk (già trasposta al cinema da Molander nel 1943), armata di crocefisso e paladina della Fede, che Dreyer piega in una visione più laica, comunque impregnata di quell’ossessione religiosa che accompagna da sempre la sua opera e non scevra da una retorica cristiana che inneggia, contro il positivismo e i falsi lumi della ragione (il medico, figura professionale poco amata anche in Vampyr; il pastore protestante scettico), alla purezza di cuore di un fanciullino o di un folle, capaci ancora di credere nei miracoli, nel “magico”. L’incoerenza sta in un cinema, al contrario, poco appassionato, commovente, ispirato, più cerebrale che emotivo, che preferisce rinvenire simbolicamente le qualità che decanta in freddi personaggi-archetipi-simbolo (anche qui c’è una Giovanna D'Arco incompresa, Johannes), restituiti formalisticamente, con certo espressionismo e prevedibile agiografia. Pur proponendo un cinema spoglio e dimesso, non mancano magistrali tocchi di classe di puro cinema: l’inquadratura sulla scalinata, con, in cima, i panni bianchi appesi, nella sua fissità che rende il reale surreale; la morte e la resurrezione rappresentata dall’orologio a pendolo fermato/riavviato. La dissertazione sulla perdita della fede, sull’uomo che si allontana da Dio, è certo profonda, ma anche imbastita su di una drammaturgia che, quando non picchia sul tragico-esistenziale, alterna passaggi divertenti (i battibecchi fra i due vecchi patriarchi di fede diversa) ad altri troppo “facili”, visibilmente adattati da un lavoro teatrale concepito per intrattenere il pubblico attraverso l’amore (Romeo e Giulietta: i due innamorati appartenenti a fazioni contrapposte), il melodramma e la carineria, non del tutto capace di sorreggere il peso di un così grave travaglio teologico. Senz’altro non meritevole di tempi cosi dilatati con l’incessante rumore del vento in sottofondo. Ciò non toglie che il cinema di Dreyer sia sempre “alto” e “altro”, capace di passaggi suggestivi e “soprannaturali” convincenti, forte anche di immedesimazioni attoriali sublimi.