TRAMA
Per dimenticare l’uccisione del marito e del figlio, fa una vacanza in Birmania ma, perso il passaporto, viene perseguitata dalla dittatura militare nel momento in cui scoprono che ha frequentato (casualmente) dei democratici.
RECENSIONI
Per una decina d’anni (a partire da La Foresta di Smeraldo), John Boorman s'è dedicato alla retorica dei buoni sentimenti, toccando il fondo con Dalla parte del Cuore. Troppo grossolano per affrontare testi delicati ed intimisti, persino per dedicarsi al “cinema letterario”, è sempre stato, invece, un grande poeta della corporeità e dell'immanenza della Natura: si evince anche da quest'opera, quando accantona il poco sviscerato e manicheo tema politico per dedicarsi alle fughe sui letti dei fiumi, circondati da una flora fotografata magnificamente. Patricia Arquette, spaesata (come tutti i protagonisti di Boorman) più come interprete che come personaggio, dovrebbe rappresentare l'americano medio, ignorante, irresponsabile (se non è così, tutta la prima parte in cui si comporta in modo improbabile, tragedia subita o meno, è infrequentabile). A questo pare rivolgersi Boorman quando, da sincero democratico, denuncia le atrocità della dittatura in Birmania con pesi e misure troppo enfatici o nel momento in cui tenta una banale filosofia buddista in pillole, con il parallelo fra la tragedia familiare della protagonista, che va relativizzata, e quella di un paese che ne ha viste di peggio. Ma, né suadente viaggio nell’anima né efficace pamphlet politico, quest’opera ingrossa solo le fila di tante che, come lei, hanno sventolato la bandiera di libertà statunitense nelle tirannie del Terzo Mondo. Da segnalare il toccante abbraccio finale fra il professore ed il soldato e il drammatico esodo sul ponte verso la Thailandia.