TRAMA
Tre amici vogliono partecipare ad un concorso di racconti e prendono ispirazione da un poeta ubriacone che ronza loro attorno.
RECENSIONI
L'esistenza de I Vitelloni cileni è improntata al "nulla", sono "cadaveri squisiti" che dissertano in osteria, succubi dei fumi dell'alcol e di un congenito snobismo che fomenta le loro ambizioni artistiche rendendoli ladri della creatività (e della vita) altrui: Raúl Ruiz prende le distanze da questi giovani borghesi annoiati, irresponsabili e senza freni, e sembra partecipare in misura maggiore al tormento del poeta reietto, dimenticato e supplicante che visita un futuro avvilente in cui "Nessuno dice niente" e gli intellettuali cileni sono facile preda del "Male". Il Diavolo si presenta sotto le mentite spoglie di un cantante damerino e lusinghiero, a seguire cittadino onorario di un paese in cui la sede del partito politico è l'Inferno e la firma è un cappio. Il regista cileno, senza compromettere il basso budget (co-prodotto dalla Radiotelevisione italiana), da un cinema di chiacchiere e casuale quotidianità, dove solo qualche gag godardiana mantiene le distanze dal realismo, ci trasporta all'improvviso e con ingegno nel mondo fantastico di Faust, annunciandolo con granchi, liquidi rossi (in bianco e nero) e falò; si reinventa Bradbury (o Borges) e fa in modo che il racconto si racconti (si ingarbugli) attraverso un puzzle di lettere spedite dal futuro, mentre prende corpo un'eccentrica allegoria politica dove vittima e carnefice duellano a suon d'indovinelli e il Diavolo l'ha vinta con un peto micidiale (...). Micidiale come un serpente che si mangia la coda (come il Cile?), è anche il cinema di questo autore imprevedibile e bizzarro, geniale ibrido di dettami brechtiani, flussi portoghesi alla De Oliveira e surrealismo. La versione cinematografica è di 135’, quella trasmessa dalla RAI di 90’, epurando ogni riferimento a contesto politico e personaggi reali.