- 51284
- 51284
TRAMA
Il caso del reverendo Murphy, accusato di oltre 200 abusi su minori sordomuti, è l’occasione per indagare la pedofilia nella Chiesa: dagli scandali nazionali all’omertà vaticana ai massimi livelli.
RECENSIONI
Il film di Alex Gibney lancia un dubbio. Il regista, dopo lOscar di Taxi to the Dark Side e prima di The Armstrong Lie visto allultimo Festival di Venezia, firma questo documentario di costruzione e destinazione televisiva, trasmesso dal canale HBO il 4 febbraio 2013. Divisa per capitoli, linchiesta è originata dalle ricostruzioni frontali delle vittime, sordomuti che parlano il linguaggio dei segni, rafforzati da video amatoriali e foto dellepoca dei fatti. Questi sono montati alternativamente agli innesti fiction di matrice Tv, che inscenano gli abusi di padre Murphy giocando su ombre e chiaroscuri, focalizzando sulla figura del prete/diavolo attraverso i dettagli (le visite notturne alla camerata, la postura del religioso). Una ricostruzione però pleonastica, sotto laspetto visivo, perché rende saturo di immagini ciò che si poteva intuire: non gli attori che recitano gli abusi, ma le vittime vere sono sempre al centro del discorso. Le parole dei sordomuti che, seduti davanti alla camera, gesticolano la sofferenza senza filtri sono specchio del reale: il riflesso è apparentemente deformato ma in realtà fedele al vero, è il reale ad essere deforme. Si torna, come sempre, alla posizione dello spettatore: vedendo i protagonisti che (non) ci parlano in faccia siamo disagiati, perfino sconvolti, mentre la riproduzione del crimine in bilico tra Playing the Victim e un servizio di Chi lha visto?, evidenziando la sua natura posticcia, interviene per contrasto ad abbassare la temperatura drammatica. I segni sono auto-significanti, non serve aggiungere altro: ogni tipo di azione ricostruttiva, che non sia immagine di repertorio, suona di troppo e fuori luogo. La frontalità ostentata in sé è già scomoda e spiazzante.
Gibney adotta un procedimento dal particolare all’universale: prima i casi singoli, gli abusi con nomi e cognomi, poi la questione si apre a ventaglio e tocca gli organi intermedi (le chiese nazionali) fino alla curia romana per sondare l’esercizio del silenzio, indagando attraverso giornalisti ed esperti del “problema” vaticano. E’ un accerchiamento strategico quello eseguito dalla pratica documentaria, una lenta e implacabile disposizione intorno al nemico/colpevole: dispiegato l’apparato retorico (chiese semibuie, statue cristiane, madonne piangenti), blindato con fatti e dati, il mostro è preso in trappola. Certamente riuscito nella divulgazione dell’orrore, Mea Maxima Culpa pone qui il suo interrogativo: il dilemma che lo riempie è, in soldoni, l’antico scontro tra forma e contenuto, la differenza fra l’urgenza delle cose da dire e la loro messa in rappresentazione. I tasselli finzionali, così come gli zoom su oggetti sacri, sono semplicemente “brutti”. Il cosa è coltivato, il come è trascurato. In questo divario, nel “buco” che sbilancia l’attenzione di chi guarda tutta verso una parte (quella, ovviamente, della denuncia) c’è spazio per molti giudizi possibili. Il dubbio, alla fine, resta.