Commedia, Recensione

SOLE A CATINELLE

TRAMA

Checco vende aspirapolveri. Ai parenti. Finiti i quali cade in disgrazia, viene lasciato dalla moglie e deve onorare una (potenzialmente) “costosa” promessa fatta al figlio Nicolò.

RECENSIONI

La maschera zaloniana si conferma degna collega dei personaggi à la Alberto Sordi (o Homer Simpson): figure teoricamente detestabili, moralmente deplorevoli, meschine, spesso disoneste ma – a modo loro – adorabili. E’ il vecchio discorso dell’italiano(/americano) medio(cre) che si vede caricaturizzato, reso simpatico (dunqu)e (auto)assolto. Ma non solo. Come si scriveva nella recensione del precedente Che bella giornata: La maggior forza di Zalone, spendibile (e ben spesa) anche commercialmente, ci sembra la sua trasversalità. Una trasversalità complessa, che spesso si avvita su se stessa e si stratifica in abisso, ingarbugliando le possibili chiavi di lettura. Dal cortocircuito inter-mediatico televisione-cinema emerge un personaggio [volutamente (con)fuso con la persona] nazionalpopolare e/ma irriverente, apparentemente innocuo ma presto allo slancio politicamente scorretto, protagonista di una comicità multiforme potenzialmente appetibile per molti palati. Il tutto presentato con apparente nonchalance, come se non fosse frutto di una “strategia” – vagamente – situazionista ma parto naturale di una personalità genuinamente eccentrica.

Ma c’è dell’altro. Una scorrettezza vera, che mentre stigmatizza pregiudizi e ottusità nazionalpopolari, se ne fa in qualche modo alfiere e portavoce. In Cado dalle nubi c’era, ad esempio, la sequenza canzonettara col Nostro che cantava il pezzo pro-gay “Gli uomini sessuali” (autocitata in Sole a catinelle), vero campionario deforme-ma-non-troppo dell’apertura mentale ostentata dagli omofobi/retrogradi/razzisti che non si credono tali, cantata però in un locale gay cinematografato in modo veramente omofobo/retrogrado/razzista. Qui c’è, invece, la sequenza del traghetto, con Checco che prima fa un discorso “colonialista” al figlio e poi gesticola come un orango davanti alla famiglia di colore. Ora, se la sequenza si fermasse lì, sarebbe sì vagamente sgradevole ma ascrivibile a una canonica scorrettezza declinata al corretto per vie traverse. Ma la sequenza non finisce. Zalone è tornato in auto e piange, sotto gli occhiali da sole, perché crede che il figlio se ne sia andato in vacanza con la famiglia “non occidentale”. Ma ecco che il piccolo Nicolò compare al finestrino (ha deciso di rimanere con Checco), mimando il gesto scimmiesco fatto dal padre pochi secondi prima. Gesto che, dunque, sancisce il recupero del rapporto tra i due. Come se, in fondo, anche il bambino, che sembrava assai più intelligente, saggio e assennato del padre, in realtà ne condividesse i beceri slanci xenofobi e idioti. Anche solo per compiacerlo.

Ecco, anche qui, forse, risiede la trasversalità di Zalone di cui si parlava (rectius: citava) sopra, trasversalità potenzialmente capace di intercettare tipi di pubblico diversi con una stessa arma – volutamente? - a doppio taglio (la sequenza di cui sopra potrebbe piacere a uno spettatore cinico e disincantato, amante della scorrettezza spinta quanto consapevole, ma anche a un Roberto Calderoli, per dire. Con tutte le vie di mezzo possibili).

Bene. Archiviato il tentativo di spiegare il perché del successo di Checco Zalone, non rimane che rilevare una correzione di rotta rispetto al precedente Che bella giornata. Lì, il tentativo di alzare leggermente il tiro, di costruire un film più strutturato e organico, con accenni di impegno all’italiana (la terrorista islamica redenta), aveva finito per togliere spontaneità al prodotto, annacquando la zalonianità (unica ragion d’essere) del film. Con Sole a catinelle si fa un passo indietro, alle origini di Cado dalle nubi: Checco torna a tiranneggiare la scena appoggiandosi su pretesti narrativi sviluppati e chiusi frettolosamente, accarezzando aree tematiche con distacco caciarone e cinico (la crisi, il mutismo selettivo) e candidandosi, di nuovo e forse definitivamente, alla leadership del non cinema comico italiano brutto e/ma di successo. Nunziante si conferma regista invisibile, ma nessuno può biasimarlo, le canzoni sono simpatiche (“che senso ha questo sole al tramonto / se torno a casa e non trovo pronto”), la presenza di Marco Paolini un chiaro esempio di miscasting.