Drammatico, Sala

OH BOY

Titolo OriginaleOh Boy
NazioneGermania
Anno Produzione2013
Durata83'
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

Berlino: le ventiquattro ore del giovane Niko alla ricerca disperata di un caffè.

RECENSIONI


Oh boy – un caffè a Berlino è il racconto, spalmato sull'arco di ventiquattro ore, delle (dis)avventure di Niko, giovane ex studente di legge che, lasciata la fidanzata, si trasferisce in un nuovo appartamento nella capitale tedesca.
Il piano inclinato sul quale poggia l'apatica esistenza del giovane inasprisce la propria pendenza con il procedere della narrazione, costringendo il protagonista ad inanellare una serie di incontri/scontri con una fauna umana ostile e fastidiosamente nevrotica.
Jan Ole Gerster si avvale di un registro stilistico semplice e lineare in cui i fatti si susseguono senza sovrapporsi e la strisciante sensazione di straniamento ed inadeguatezza del protagonista viene distillata con cadenze regolari lungo tutto il suo percorso che, di fatto, risulta essere centripeto.
La formula della coincidenza imprevista che si innesta nel cammino di Niko viene giocata come motore dell'azione (un vicino invadente che offre il benvenuto al nuovo inquilino, una ex compagna di scuola incontrata casualmente in un bar, la coppia di controllori nella metro...) e in tutte le circostanze porta alla disfatta del protagonista che non può far altro che fuggire il più velocemente possibile nella direzione opposta rispetto allo stimolo negativo ricevuto, senza concedere niente di sé e senza trarre alcuna riflessione da ciò che ha vissuto in prima persona.


Nonostante Niko sia l'oggetto privilegiato della macchina da presa e al tempo stesso il bersaglio di ogni accidentale incontro (simile in questo al protagonista di Fuori orario di Scorsese), si perde la profondità del personaggio, lasciando che cresca e si fortifichi proporzionalmente nello spettatore la sensazione di dare la caccia ad un fantasma, una figura ignifuga agli accadimenti esterni, un fantoccio in carne ed ossa allibito ma sostanzialmente neutro, un universo chiuso ed inscalfibile nella sua caotica fissità.
Seppur nell'eccesso opposto, anche gli altri personaggi, veri e concreti inciampi del protagonista, si presentano come maschere grottesche che portano in scena il loro  peculiare isterismo senza suscitare né scatenare nulla nell'altro se non un allontanamento subitaneo. L'esuberanza provocatoria del coro grottesco dei personaggi secondari sfiora il vuoto impenetrabile del protagonista senza che si riesca ad osservare un qualche, seppur minimo, mutamento di stato in nessuna delle due parti in causa: l'attrito non provoca scintille, ma solamente distaccamento, isolamento ed incomunicabilità.
Del resto l'unica cosa verso cui tende il protagonista è la ricerca affannosa di un caffè, un semplice caffè, un gesto banale nella sua quotidianità che assume in questa sede, man mano che il film procede e che le disavventure si moltiplicano, la dimensione simbolica di un momento dedicato alla riconsiderazione generale sullo stato delle cose, sul loro contorto mutare, sullo slittamento del tempo che imbottiglia gli eventi in un eterno presente senza che si possa ripensarli lucidamente,  concedendo loro uno spessore, una profondità di qualsiasi tipo. In questa logica di presente persistente e coriaceo è la Storia ad entrare prepotentemente in gioco, appropriandosi del discorso con la drammatica dolcezza di un addio, attraverso le parole di un uomo che è stato bambino e che ha visto segnare il proprio futuro dall'orrore nazista.
Così il testimone è stato passato a Niko: il tempo ha compiuto il suo giro di ricognizione sull'oggi riannodandovi la memoria di ieri, aprendo uno spiraglio sul domani.