
TRAMA
John May è un impiegato del Comune con il compito di rintracciare i parenti più stretti di persone morte in solitudine. Per John non si tratta solo di un lavoro, ma di una ragione di vita. Quando viene licenziato per una razionalizzazione delle risorse, John decide di dedicare tutto se stesso all’ultimo caso che gli spetta, quello di un ignoto vicino di casa, morto senza affetti e in solitudine.
RECENSIONI
Dopo Machan, il nipote di Luchino ed Eriprando Visconti, da tempo di stanza a Londra come produttore, si dedica anima e corpo (regista, produttore, sceneggiatore) ad una pellicola struggente, deliziosa, che possiede la perfezione accademica di opere di cinquant’anni anni prima, dove al calibrato copione, con racconto generoso ed originale, s’accompagna il lavoro invisibile ma presente di una messinscena che s’affida al corpo del caratterista Eddie Marsan, per la prima volta protagonista (conosciuto sul set de I Vestiti Nuovi dell’Imperatore, da Pasolini prodotto), attorniato da una galleria di personaggi tutti azzeccati, tutti all’insegna di una commedia amara, tutti irrorati dalla luce, da subito malinconica, della magnifica trovata di fondo (portata a termine con più coerenza e sobrietà del simile Departures), quella in cui un uomo mite, solitario, jacques-tatiano si dedica con dedizione a rintracciare i vivi per i morti, quasi sempre fallendo, ma procurando ai defunti funerali dignitosi, con omelie scritte indagando sull’esistenza da omaggiare e con costi (di denaro, di tempo) inaccettabili per la spending review. La cifra stilistica che colpisce maggiormente è la narrazione a specchio del protagonista, sottotono e tenace (come il tema musicale della moglie di Pasolini, Rachel Portman) nel restituire un essere che si prodiga per i simili, anche nella solitudine. Il regista ha dichiarato di aver visto più volte Umberto D prima di girare e di essersi rifatto ad Ozu per riuscire a raccontare le emozioni forti senza enfasi, giocando, anche esteticamente, con il doppio senso del titolo, dove still significa sia “immobile” (o fotografia, quella dai cui John May parte per le sue indagini), sia “ancora”.

Dopo aver vinto la sezione “Giornate degli Autori” al Festival di Venezia del 2008 con Machan – la vera storia di una falsa squadra, Uberto Pasolini torna a occuparsi di una storia ai margini e conquista nuovamente la giuria veneziana, questa volta nella sezione “Orizzonti”, in cui è stato inopinatamente inserito, dove ha vinto il premio per la Migliore Regia. Protagonista è un impiegato comunale addetto alla sepoltura delle persone decedute i cui parenti sono introvabili. L’uomo svolge il suo lavoro con grande dedizione cercando soprattutto di recuperare, nel saluto estremo, quella dignità che magari in vita le persone non sempre hanno avuto. Ecco quindi la ricerca dei parenti, la predisposizione degli elogi funebri, la scelta delle musiche più adatte, per una sorta di riscatto dei meno fortunati che passa attraverso un rito funebre accurato e decoroso. I suoi sforzi non sono però apprezzati dal suo superiore che decide di eliminare i rami secchi dell’amministrazione comunale licenziandolo. Pasolini sceglie un approccio dove a dominare è la misura. Pone al centro del racconto un antieroe, dimostra di amarlo e cerca in tutti i modi di trasmettere la benevolenza che prova nei suoi confronti anche allo spettatore. Il risultato convince solo in parte. Se si apprezza l'originalità del soggetto e la sensibilità con cui il regista tratteggia personaggi e situazioni, bisogna però constatare che la sceneggiatura finisce per erigere un monumento al suo protagonista, di cui non possiamo che pensare bene perché solo aspetti positivi di lui ci vengono mostrati: sempre gentile, rispettoso, corretto, pacato, nemmeno un'ombra a scalfire un ritratto a senso unico che non riesce mai davvero a uscire dalla teoria e a risultare credibile, privo com'è di mezzetinte. Poi, la progressione funziona, l'apertura del protagonista nei confronti della vita e delle emozioni è all'insegna della sobrietà, ma pare tutto piuttosto costruito. Per tacere della conclusione melodrammatica in cui l'artificio esce allo scoperto mostrando il suo fine strappalacrime. Decisamente troppo forzata e gratuita per indurre a una commozione sincera. Tra l'altro anche piuttosto punitiva e in contraddizione con l'ariosità delle premesse: non appena ti apri alla vita ed esci dai ranghi in cui la paura ti ha confinato, la vita ti frega. Molto in parte il protagonista Eddie Marsan e deliziosa Joanne Froggett, la ragazza della porta accanto che tutti vorrebbero avere. Così come è impeccabile la confezione, dalla colonna sonora, come sempre fiorita, di Rachel Portman, alla fotografia in evoluzione cromatica di Stefano Falivene, desaturata all'inizio e con il progressivo inserimento dei colori a mano a mano che si risvegliano i sensi del protagonista. Ma dietro un'apparenza controllata, leggera e poetica si cela un film fasullo.
