Drammatico, Sala

MOEBIUS

NazioneCorea del Sud
Anno Produzione2013
Durata89'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Consumata dall’odio nei confronti del marito per le sue continue infedeltà, la moglie vuole vendicarsi di lui ma finisce per infliggere un colpo fatale al figlio e poi scompare sopraffatta dal senso di colpa. Per il figlio che versa in una condizione miserevole a causa sua, il padre cerca di fare qualcosa solo per rendersi conto che il ragazzo non può guarire. Allora l’uomo si priva della virilità che è stata l’origine di tanta miseria e si dedica anima e corpo al bambino. Di conseguenza la ferita in un certo modo si rimargina, ma un giorno la moglie torna a casa e la famiglia precipita verso una distruzione ancora più orrenda.

RECENSIONI


Che il cinema di Kim Ki-Duk mulinasse senza posa variazioni su variazioni del vecchio schema edipico, e della scena primaria, è chiaro da anni. Dopo Pietà, con quel suo (finto) incesto che spacca il film in due, era anche chiaro che presto questo mulinare sarebbe andato incontro a una netta e decisa radicalizzazione. Difficile peró aspettarsi come esito qualcosa di altrettanto radicale di Moebius.
Si comincia col triangolo classico, quello della scena primaria: padre, madre e figlio. Immobili. Arriva una telefonata. L'amante del padre: un altro triangolo. La madre allora tenta di evirare il padre, invano. Ripiega dunque sul figlio. E sono passati solo pochi minuti. Fino alla fine, il film continuerà su questa falsariga, un turbine psicotico che letteralizza le metafore (la castrazione, da puramente simbolica, diventa letteralmente evirazione) e sfoglia a velocità furibonda ogni possibile variazione sul tema del triangolo edipico. Fino appunto al rovesciamento ultimo, definitivo, quel pre-finale in cui non è il bambino ad assistere al coito dei genitori, ma il padre ad assistere all'incesto. Quel nastro di moebius che è la scena primaria (poiché attesta la coimplicazione di chi guarda nella scena guardata) palesa ora al massimo grado possibile l'indistinguibilità dei suoi due lati. E dunque quella tra l'occhio e il fallo, qui davvero parossisticamente allineati.
E dopo questo punto-limite, dopo la variazione edipica definitiva, cosa c'è? Nulla. Il nulla. La statua di Buddha dell'ultima scena. Il nulla dietro il velo. Eccolo qui, lo strano sincretismo tra oriente e mitologia occidentale che permea variamente tutto il cinema di Kim, e il cui esempio più plateale è Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Una volta scomposto e ricomposto Edipo innumerevoli volte, di esso non rimane più nulla - tranne, appunto, la velocità con cui avviene l'incessante scomposizione-ricomposizione.


Moebius è infatti un film che esiste solo come pura dinamica, come puro movimento che si fa beffe dell'inconsistenza che attraversa, dell'infinita mutevolezza della sua unica e ossessiva componente anagrammata in mille modi.
Per raggiungere questa velocità, Kim, che si limita qui a un'esiguità di mezzi praticamente francescana (oltre, c'è solo Arirang e Real Fiction), spinge all'estremo la rarefazione. Un trionfo di raccordi di sguardo, che si mangiano tutto il resto, a cominciare dalla necessità di parlare (dialoghi pressoché inesistenti). L'azione va avanti come un treno, e brucia e calpesta e travolge tutto ció che si mette in mezzo rispetto a questo mero andare avanti – il disagio fisico innanzi alle mutilazioni, certo, ma anche quell'altro ospite tanto ingombrante quanto ininfluente: il ridicolo. Spunti ridicoli ce ne sono finché si vuole: un pene appena tagliato che finisce sull'asfalto di una strada trafficata, sotto gli occhi dell'attonito ex titolare; il padre del protagonista che si imbatte su internet in qualche improbabile vulgata wilhelmreichiana e, convintosi che tutto il corpo è un organo genitale, si mette a sfregare violentemente un sasso contro il piede per raggiungere l'orgasmo (riuscendoci). Ma tutto questo non importa, scivola via: la marcia dell'occhio-fallo procede dritta dal nulla, attraverso il nulla e verso il nulla.