Drammatico, Proibiti

EITHER WAY

Titolo OriginaleÁ annan veg
NazioneIslanda
Anno Produzione2011
Genere
  • 66434
Durata84'
Scenografia

TRAMA

Islanda, anni Ottanta. Alfred e Finnbogi sono incaricati di dipingere il manto stradale: hanno caratteri opposti ma devono convivere.

RECENSIONI


Vincitore del Torino Film Festival 2011, il titolo Either Way viene dall’espressione idiomatica inglese che significa “in entrambi i casi”. Ma l’originale islandese (Á annan veg) conserva una sfumatura leggermente differente: “in caso contrario” (in inglese sarebbe “otherwise”), minimo dettaglio linguistico per suggerire che le cose nel film possono andare anche in modo diverso. Alfred è il caso contrario di Finnbogi, e viceversa. Alfred e Finnbogi sono due figure agli antipodi: il primo è un 24enne immerso nella vita notturna di Reykjavík, a cui non vede l’ora di tornare; l’altro è un 33enne amante della natura e interamente proiettato nel rapporto con la sua donna, sorella proprio di Alfred. I due dipingono le strisce per il manto stradale, sullo sfondo del brullo paesaggio islandese: riusciranno a finire la strada senza scannarsi? Alla fine del percorso saranno vicini o lontani? E’ questo il simbolo angolare che accoglie l’intera struttura drammaturgica: la Strada (Way), Alfred/Finnbogi per completarne la costruzione devono percorrerla insieme (sia metaforicamente che letteralmente). Ognuno deve trovare la sua strada, ognuno cambierà strada per farlo.


Già così, da questa sommaria descrizione, si possono facilmente intuire i limiti di una sceneggiatura costruita unicamente su due caratteri: gli accidenti dei protagonisti si verificano in modo complementare, opposti (la gravidanza - la rottura del rapporto) ma speculari, distanti ma riflessi tra loro. Assodato il principio di fondo, il meccanismo comico segue tappe sostanzialmente prevedibili: i due lavorano, si confidano, poi litigano e si allontanano, quindi vivono un evento di svolta (Alfred salva Finnbogi caduto nel fiume) e si avvicinano di nuovo, secondo una linea ampiamente prevista. Il regista e sceneggiatore Hafsteinn Gunnar Sigurðsson prova a ravvivare lo scenario con ironia evidente ed oscena (dalla masturbazione alla flatulenza) e alcune puntate nell’assurdo, soprattutto il camionista alcolizzato e la donna fantasma, ma si limita alla stravaganza (la solita sbornia che “allea” i nemici) appena bagnata da gocce di malinconia. Eppure sviluppare un’unica situazione è anche il suo punto di forza: siamo sempre nella Natura, dal paesaggio non si esce mai, tutto il resto è relegato fuori campo. Le rispettive condizioni sono enunciate dagli stessi protagonisti, dunque sono le loro visioni, non abbiamo prove che ciò che dicono sia vero. La nightlife di Alfred, la relazione di Finnbogi, la loro vita reale: l’esposizione punta sull’immaginazione di chi guarda, invitando a presumere e ipotizzare, suggerendo un sommesso livello meta-narrativo. C’è poca azione, è la storia di due persone che parlano: possiamo solo ascoltare i racconti.


Un buddy movie low-budget, una commedia amara con cenni di novella epistolare (le principali svolte dell’intreccio arrivano dalla corrispondenza tra Finnbogi e la fidanzata) e con possibile sottotesto omoerotico soprattutto nella sequenza post sbronza, con scherzi seminudi al limite del sentimentale. Á annan veg ha pregi e difetti: compie un tentativo spericolato di ottenere il favore del pubblico con alcuni espedienti (per esempio la tendenza contemplativa/estetizzante del paesaggio nordico) e prepara uno scioglimento ottimista che, dopo molti problemi, rincuora e rassicura. Ma questo non è una colpa, esattamente come l’eccessivo successo festivaliero che lo ha investito. E’ un film lineare e minimalista, che gioca a carte scoperte, puntellato da fremiti che affiorano tra le righe. Le sue potenzialità sono paradossalmente esaltate dal remake americano, Prince Avalanche di David Gordon Green, visto alla Berlinale 2013. Gordon Green riprende lo script di Sigurðsson (analogo perfino il titolo di testa, che si forma sullo schermo a ritmo delle martellate del protagonista) con una deviazione significativa: lo spostamento su nuove coordinate spazio temporali (Texas, 1988) che installa la storia sullo sfondo metaforico dei boschi texani devastati da un grande incendio. Gli attori islandesi, Sveinn Ólafur Gunnarsson e Hilmar Guðjónsson, vengono “sostituiti” rispettivamente da Paul Rudd ed Emile Hirsch (straordinari), che esasperano il lato sovraccarico dei personaggi rimodulando verso l’alto la comicità della storia.