Animazione, Recensione

FRANKENWEENIE

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2012
Durata87'
Sceneggiatura
Tratto dadall'omonimo cortometraggio del 1984 di Tim Burton
Fotografia
Scenografia

TRAMA

La storia di un ragazzino, Victor, talmente affezionato al suo cane Sparky da riportarlo in vita come il vecchio Dr. Frankenstein ci insegnò.

RECENSIONI

La bobina del cortometraggio del piccolo Victor prende fuoco proprio sui titoli di coda, ma questo non vuol dire che non possa essere riparata.
Con un nostalgico senso del tempo, Tim Burton accetta una nuova sfida, ricollegandosi al (suo) passato grazie al feticcio Sparky, un kaijū che non ha bisogno di indossare occhiali 3D perché contemporaneamente aldilà e aldiqua la rappresentazione, vero e proprio legame tra due mondi. L’immaginario dell’autore ha definitivamente fagocitato il reale, deformandolo in un universo già propriamente cinematografico, quello a lui caro, basti osservare la moltitudine di freaks che lo popolano, ognuno con la sua allusione fisiognomica, il suo tratto caratteristico che rimanda ai totem dell’horror classic. Uno scarto deciso che oscura il cortometraggio omonimo, vivido nell’aprire lo sguardo di un ragazzino (e di un’intera comunità) ai misteri del fantastico, del diverso, trasfigurandolo nell’animazione della stop motion (da lui sempre voluta fin dal 1984), sintomo di una poetica ormai iconizzata, estremamente burtoniana

Burton rivendica se stesso, regalandoci uno spaccato pullulante dei suoi mostri, in una coerenza e prevedibilità rasente la più sterile delle riproposizioni.  Ma è proprio nel riconoscerlo che non può non essere notato un senso di abbandono, un'incrinatura di uno sguardo in cui la magia e, soprattutto, la fiducia si aggrappano quasi per automatismo. Victor rimane stupito dalla rinascita del proprio cagnolino, di fronte a un miracolo verso il quale era pronto a non credere (I'm sorry boy), un miracolo che si estende persino nella materializzazione del suo Monsters from beyond, pronto ad invadere la città in cui vive. I sogni diventano incubi, rendendo ostili i lampi che prima stimolavano la fantasia di un bambino, nell'amaro costatarsi di un'immaginazione respingente e incapace a esprimersi. Dietro l'illusoria vivacità di un Tim Burton, si cela in realtà una delle sue opere più rassegnate, ombrose, dalle quali si vorrebbe fuggire fin da subito, se non fosse per un amico, fedele, pronto a dare un senso a quel home run che sembrava un'evasione da ciò che ci stava circondando.

Tim Burton rimette mano all’omonimo cortometraggio live action del 1984 (vedi) che, oltre a essergli valso il “non gradimento” della Disney che produceva (a causa della classificazione “parental guidance” ottenuta), non riuscì a girare in stop-motion come avrebbe voluto sin da allora: è paradossale, dunque, che avesse più fascino felicemente sinistro quell’opera giovanile monca dell’incanto fantastico che solo il mondo dei pupazzi può avere (universo dove il regista è demiurgo assoluto). Possedeva, in nuce, tutto il mondo poetico dell’autore, da Edward Mani di Forbice a La Sposa Cadavere e, più di vent’anni dopo, lascia perplessi il riproporla con così poche varianti significative nella sceneggiatura, che si limita a reiterare e allargare l’idea dell’esperimento di Frankenstein (ogni compagno di classe resuscita qualcuno), gonfiandolo più sul versante spettacolare che assecondando, elaborando, perfezionando e affinando il suo mood malinconico, dark, gotico, espressionista (rincorso dal bianco e nero), magari con sottotesti anticonvenzionali, quelli che facevano grande, sotterraneo e unico il cinema di questo autore, da parecchio fagocitato dai gigantismi popcorn e/o citazionisti (i riferimenti al Frankenstein di James Whale c’erano anche nell’originale; in Tv, passa il Dracula di Christopher Lee). Ciò non toglie che siano una meraviglia sia i suoi pupazzi persi nelle occhiaie, sia l’omaggio all’amato Vincent Price (che prestò la voce al suo primo cortometraggio, Vincent e qui presta le fattezze al Mr. Rzykruski doppiato da Martin Landau), sia certe buffe maschere in cerca di richiami cinematografici, dalla bambina  cono lo sguardo allucinato alla Bette Davis, al neo - Boris Karloff che finirà per fare La Mummia, dal proto-Igor con gobba al giapponese con il suo Gamera (il bambino paffuto, invece, crea i Gremlins). Il 3D è privo di effetti gratuiti, serve ad apprezzare meglio la consistenza dei pupazzi animati.