Drammatico, Sala

THE SESSIONS

Titolo OriginaleThe Sessions
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2012
Durata95'
Sceneggiatura
Tratto dadall''articolo “On Seeing a Sex Surrogate” di Mark O'Brien
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Mark O’Brien, affetto da una grave forma di poliomielite, vuole avere rapporti sessuali.

RECENSIONI


Con un enorme successo di pubblico, un Audience Award, un premio della Giuria al Sundace e una nomination agli Oscar per Helen Hunt, The Sessions rischia di trasformarsi in uno di quei grandi successi di cassetta che si situano tra il piglio della commedia brillante e la pretesa della commozione incondizionata. Sicuramente a sottolineare la vocazione sociale ed emozionale del film di Ben Lewin c'è il bagaglio personale del regista - colpito dalla medesima malattia di Mark O'Brien seppur in forma più lieve – e il dato reale, la concreta trasposizione cinematografica dell'autobiografia di un poeta disabile, costretto a vivere all'interno di un polmone d'acciaio fino alla sua morte sopraggiunta all'età di quarantotto anni. Imbrigliato tra quei film che si accollano il peso di trattare un tema difficoltoso come quello della disabilità (uno su tutti Quasi Amici), The Sessions, tuttavia, è un film sul mancato soddisfacimento di esigenze universali destinato a scontrarsi con la doverosa presa di coscienza della propria fine. Il film non manca di furberie scontate manifeste soprattutto nell'economia del narrato, si pensi all'immaginario abusato del prete-buono qui reso all'estremo delle sue possibilità (lo si vuole innalzare a mero consigliere di tematica sessuale che fuma, beve birra e fa jogging); oppure alla coercitiva organizzazione di un mondo che, per forza di cose, tenderà non solo alla morte ma alla messa in scena ultima del funerale, lecito espediente per espiare ogni lacrima ancora trattenuta; o, ancora, all'esagerata caratterizzazione bonaria del protagonista dotato di un umorismo politicamente scorretto degno dell'infatuazione immediata di ogni donna che gli capiti appresso; dettagli (?) di cui è evidentemente difficile non tenere conto, visto l'assetto capitolare del narrato.


Detto ciò The Sessions, vuole avere propositi ben diversi, esige la transizione e lo smarcamento, non cede allo sketch televisivo della battuta facilona e del brandello patetico. È proprio la voice-over di Mark O' Brien a dar vita all'espediente, al doppio binario, a un'armonica corrispondenza linguistica. La verbalizzazione degli stati d'animo del protagonista scava nelle immagini edulcorate, conferisce loro un'intensità formale capace di dare rilievo ai contorni, alle pieghe e ai silenzi. Rifuggita la prevedibilità, scansata la vacuità, The Sessions trova nell'interpretazione di Helen Hunt il giusto trait d'union per cogliere il peso di un realismo sconcertante; una storia di corpi, uno immobile nella sua infermità, l'altro invecchiato e appesantito dal perseguimento di decisioni errate (si pensi al marito “filosofo”), il film di Lewin coglie nel mancato appagamento di desideri primari – il bisogno d'amore innanzitutto – l'amalgama necessario, il legame essenziale con la Realtà.
Mark e Cheryl, dapprima solo difettose porzioni solitarie, trovano nella fusione estatica, il compiacimento di piccole ambizioni personali. Nella messa in scena di corpi che, come pezzi di puzzle  trovano finalmente il loro compimento, The Sessions perde purtroppo il rigore arrendendosi alle trame frivole del melodramma. Ben Lewin cerca così di restituire allo schermo le carezze leggiadre che Mark O'Brien può esaudire solo su carta, i tocchi amorevoli che trovano lo spazio in una fiaba compromessa più che in un elogio funebre, incrinata in fragili forme che mancano di coraggio e rischiano di essere incasellate nei compartimenti paludosi del “già visto”.