LEZIONI DI ARMONIA

È stata una delle sorprese della competizione berlinese questo film kazako la cui storia attraversa quadri icastici che racchiudono (fuori) un paesaggio freddo e desolato, e (dentro) ambienti semivuoti in cui le figure si muovono quasi teatralmente.
L'umiliazione ricevuta dai suoi compagni di scuola, diventa per Aslan un'ossessione e dà spazio ai suoi latenti disordini di personalità: è una storia di emarginazione che diventa solitudine orgogliosa, che si trasforma, a sua volta, in inflessibile autodisciplina, in un regime spartano autoimposto; di fronte a una microsocietà, quella della comunità scolastica, che riflette quella più ampia, in cui i rapporti sono gestiti da potere e soldi, violenza e prevaricazione, la scelta del giovanissimo protagonista è quella di una ribellione silente, ma inesorabile fino alla possibile autodistruzione.
Muovendosi su un piano che incrocia, in maniera prima sfumata, poi sempre più evidente, quello del sogno, il film procede ambiguamente per situazioni mostrate (la piccola realtà nella quale vivono i ragazzi, la loro quotidianità soffocante e conflittuale) ed evocate (la grande città, mitizzata nei racconti dell'amico, luogo chimerico che il finale celebra come "visione"), per eventi estremi quanto improbabili (le torture della polizia). La chiusura conferma la sostanziale incertezza relativa alla dimensione (reale o fantasiosa) in cui collocare molta parte dell'intreccio.
Assecondando i rumori d'ambiente (non c'è musica di commento), il regista sceglie un registro visivo fatto di tinte livide e composizioni studiate, un taglio che si impone come dato ineludibile, molto presente, e che non esaurisce i motivi di interesse di un film premiato a Berlino con il riconoscimento per il miglior contributo artistico.