Drammatico, Recensione

L’IMPERATRICE CATERINA

Titolo OriginaleThe scarlet empress
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1934
Durata110’

TRAMA

Dalla natia Germania, Sofia Federica giunge in Russia per sposare e dare un erede al figlio folle dell’imperatrice: frequentando la Corte, ben presto si disillude sull’amore e impara gli intrighi per sopravvivere.

RECENSIONI

Magnifica la prima parte che introduce nello scenario barocco della corte di Russia: un debordante, indimenticabile profilmico di statue mostruose (quella del trono ad aquila, quelle “assorte” della sala del consiglio, i porta-candele e l’organizzazione spaziale del luogo della cerimonia nuziale) e locali al lume di candela. Poi c’è il fascino di personaggi perversi (l’autoritaria imperatrice-madre, suo figlio dal sorriso malefico) e, più in generale, dello spirito russo dipinto come rude, spartano e incolto. Un universo delirante che accoglie nelle sue braccia macabre il candore di una fanciulla romantica usata come animale da riproduzione, e lo corrompe trasformandola in maliarda mangiauomini assetata di potere. Le premesse per un film maledetto e di culto ci sono tutte, compresa la maestria del regista nel dare corpo nell’espressionismo ad una favola nera e malefica con le scenografie, le musiche (l’opera è ancora molto legata agli stilemi del cinema muto, fra didascalie storiche e predilezione del figurativo sul dialogo), il ricorrente uso di sovrimpressioni che, in apertura, regalano un incubo materializzato in torture agghiaccianti. Purtroppo, invece che mantenere le posizioni o crescere, il film si appiattisce sempre più nel tipico, epidermico melodramma sternberghiano, le deformazioni del racconto non sono più riscattate dal piano onirico e allucinato ma si adagiano su semplicistici intrighi sentimentali e grossolane enfasi. Si spezza l’incanto e ciò che ammaliava arriva a stuccare, dalle infinite variazioni sulla wagneriana “cavalcata della Valchirie” al tipo di recitazione di Marlene Dietrich, più adatto ad intrattenitrice da night club che a nobile di classe per quanto corrotta (sorprende, invece, nei panni dell’ingenua sentimentale), dalla drammaturgia che, dopo aver imbastito un lungo prologo, pare non approdare mai al nucleo dell’intreccio, alla regia che non chiude in modo soddisfacente le premesse romantiche e decadenti, e s’arrende ad un finale tanto “estraneo” quanto difettoso (un’incoronazione che non corona nulla di quanto visionato fin lì).