TRAMA
La vita di Bleek Gilliam, un trombettista jazz diviso fra due donne, con un manager che ha la febbre del gioco e un collega che vuole fargli le scarpe.
RECENSIONI
Il “better blues” cinematografico, secondo Spike Lee, va eseguito con uno stile barocco eccessivo, fra dolly, plongée, steadycam e carrelli continui che danno anche un “passaggio” agli interpreti. Come se debordare fosse propedeutico alle parabole, nella fattispecie quella di un jazzista che, troppo preso dalla musica, perde amore, amicizia e, paradossalmente, la sua stessa arte. Il Bianco e il Nero, quali categorie morali e gradazioni di colore in tensione fra loro (i bianchi si approfittano del musicista nero, il nero rivendica le proprie radici), nel suo cinema assumono posizioni ferme ma non manichee (ri-vedere Fa’ la Cosa Giusta, di cui riprende l'eccellente mix di commedia e dramma), ma qui le sfumature rischiano la vacuità, nel momento in cui inseguono una jam-session (memorabile quella ironicamente rappata) di virtuosismi senza feeling. L’atipico finale di questo Chimere vestito di nero (film di Michael Curtiz con Kirk Douglas) evita il binomio arte/distruzione (Bird di Clint Eastwood, 1988), chiudendo il discorso con un messaggio costruttivo e d'amore che cita John Coltrane (la sua “A love supreme” fa da leitmotiv) e edulcora un tragico brano precedente, in cui la violenza si crogiolava sulle nervose note di jazz. Il pentagramma che si stampa nella memoria è a mosaico, all’insegna della vivacità e dell'erotismo (il “miglior blues” del titolo), suonato egregiamente da session-men ingaggiati e diretti con maestria, in uno spettro di esecuzioni che, dalle felici macchiette, approda al sentito e prepotentemente vissuto (la discussione sul retaggio dei neri fra Snipes e Washington pare del tutto improvvisata). Tanta buona musica (autore originale il padre del regista, Bill Lee; esecutore materiale il Branford Marsalis Quartet con Terence Blanchard), in una tavolozza di colori accesi.