TRAMA
L’olandese, incastrato, ha ingiustamente scontato una pena a Yuma. Torna al suo paese e decide di rapinare la miniera in cui ha lavorato molto per niente. Si uniscono a lui un compagno di galera e un messicano.
RECENSIONI
Un (altro) avvincente, saldo, "morale", anomalo western da parte di Delmer Daves. In un mondo di ladri gli unici uomini retti sono i nostri protagonisti, ex-galeotti che vogliono la rivincita con metodi poco ortodossi. Passando per il dramma carcerario e la tensione da "colpo grosso" (in una miniera), Daves più che un western rifà Giungla d'Asfalto (di partenza c'è lo stesso romanzo di W. R. Burnett), ambientandolo durante il passaggio di secolo (siamo nel 1898). Risaltano i valori della lealtà, dell'amicizia, della riconoscenza, dell'onestà, della parola data (nel finale più ingenuo che spiritoso), dell'amore che va oltre le apparenze: sono da additare la vigliaccheria, l'egoismo, il razzismo (verso i messicani), l'avidità. Se, nella società, i poteri sono in mano ai lestofanti, una sorta di "giustizia poetica" rimette a posto le cose, voluta o, più semplicemente, frutto di una buona semina (l'aiuto dei messicani): Daves, di fondo, è un ottimista, crede che il Bene ripaghi più del Male. Peccato che, nel finale, la narrazione corra di fretta, con le brache calate e uno spirito troppo gaio, perdendo in credibilità fra eroi che ci rimettono il contante senza preoccuparsene (scoprono, con poche problematiche, l'alternativa di tenersi il minerale) e feriti che dimenticano le lesioni. Il technicolor incanta mentre i bravi interpreti non perdono un’inquadratura, fra i quali un Ernest Borgnine che interpreta il tipo a lui più congeniale, testa calda-in-fondo-docile che soffre la solitudine.