TRAMA
L’agente Tequila sta indagando su un gruppo di trafficanti d’armi che semina terrore nella città di Honk Kong. A sua insaputa un suo collega si è già infiltrato nella banda. Pirotecnica resa dei conti in un ospedale della metropoli ancora inglese.
RECENSIONI
Il cinema di John Woo è l'affascinante risultato di quel mélange culturale che contraddistingueva e contraddistingue ancora la metropoli honkonghese. Al di sopra di un substrato orientale si è inserito un superstrato imbevuto dei miti, dei luoghi, dei topoi della cultura occidentale. La tradizione cinematografica occidentale è per John Woo un modello sia dal punto di vista formale (Peckinpah per il montaggio sincopato e l'uso dello slow motion; Scorsese e De Palma per certi virtuosismi della macchina da presa), sia dal punto di vista dei contenuti (il tema dell'amicizia virile rimanda a Ford e ad Hawks; quello del Male "trasversale" e tentacolare ad un Siegel o ad un Welles). Se il titolo originale suona come "Sporco superpoliziotto" ed è un ennesimo rimando agli "sbirri" d'occidente (in primis, il mitico "Dirty Harry" Callaghan), quello internazionale rinvia direttamente al romanzo poliziesco americano, detto "hard-boiled", le cui origini risalgono agli anni Venti. Con romanzi scabri e ad effetto come Piombo e furore (1929), Dashiell Hammett si era contrapposto ai classici gialli inglesi (dalla Christie in giù) e alle loro atmosfere posate, ambientate tra personaggi di classe elevata e in eleganti dimore di campagna. Autori di "hard-boiled" erano Raymond Chandler, James M.Cain (l'autore del Postino suona sempre due volte), Cornell Woolrich. Il cinema, come ben sappiamo, attinse a piene mani da questo nuovo genere letterario "sporco" e violento e, non a caso, la prima trasposizione cinematografica di un romanzo di Chandler (Il falcone maltese) diede il via ad un nuovo genere cinematografico, il "noir", di cui questo film di Woo può essere considerato un pronipote, variante impazzita a sua volta figlia del cinema degli anni settanta e dei tentativi d'autore di riaccostarsi al genere classico per antonomasia dopo la cosiddetta "deriva dei generi" (Altman, Penn, De Palma fra tutti). Woo si fa trasportare dall'onda lunga della modernità: non c'è più la manicheistica distinzione tra Bene (Bianco) e Male (Nero) - è davvero singolare che ciò che l'arte e la filosofia hanno demistificato rientri dalla presidenziale finestra di un reazionario Bush e che quest' ultimo lo dia a bere, tra una coca cola e l'altra, agli anonimi massificati votanti, cloni malriusciti di ultracorpi di siegeliana memoria - e non ci sono più il ferreo determinismo e la logica consequenziale che reggevano, almeno in apparenza, le belle storie di un tempo. Poliziotti sporchi, violenti, anche lacerati, alla ricerca della tranquillità, magari in barca a vela, lontano dalla città violenta; donne perennemente in attesa, per una volta non "fatales"; un'istituzione sospettata di corruzione con la quale l' (anti)eroe entra in contrasto; un'amicizia "bigger than life"; un Male onnipresente e onnidistruttivo; il tradimento ed il sacrificio: questi sono tutti "topoi" dell'"hard-boiled" americano rimescolati sapientemente da Woo e che riescono a non essere soffocati da un messa in scena ipertrofica e barocca, tanto più complessa ed articolata quanto più semplici ed elementari sono i caratteri e le situazioni. Questo elaborato formalismo può all'inizio spiazzare ma John Woo, con il suo cinema estremo e ridondante, ci ha regalato forse le più spettacolari, pirotecniche e, perché no, poetiche scene d'azione dell'intera storia del cinema. Inoltre, quando il gioco si fa eccessivamente "duro" e bussa alla porta dell'arte lo spettro dell'autocompiacimento munito di falce, un tocco d'ironia (irresistibile il pargoletto "pompiere") ristabilisce l'equilibrio ed il "lusus" può così continuare. Meno struggente di The Killer e Bullet in the head (forse il suo film migliore) ma ugualmente irresistibile.
